Dialogando in sogno con i maestri

 

L'opera pittorica di Christian Olivares

 

   Christian Olivares nasce a Valdivia, in Cile, il 13 settembre del 1944 da padre cileno e madre danese, frequenta la Scuola di Belle Arti a Santiago e poi si perfeziona all'Accademia delle Belle Arti di Ravenna. Durante la dittatura di Pinochet si mette in luce in Italia grazie a varie mostre collettive di artisti dissidenti cileni, mentre in seguito realizza mostre personali, oltre che nel suo paese d'origine, anche a Roma, Bologna e Berlino. Oggi risiede ad Amburgo, ma ha soggiornato a lungo anche in Italia, soprattutto a Bologna, a Roma e a Parma, dove ha collaborato come volontario all'ospedale psichiatrico di Colorno quando era diretto a Franco Basaglia. Sempre in Italia, e poi in Spagna, ha curato le scenografie di alcuni film di José Maria Sanchez. Ha inoltre realizzato le scenografie di alcuni spettacoli teatrali del regista cileno Raúl Ruiz Pino al festival di Avignone e della ballerina spagnola di flamenco María Pagés.

   Nonostante questi pregressi, nel nostro paese è però conosciuto più per l'errore dei giudici che attribuirono un suo quadro a Pacciani, ovvero al "mostro di Firenze", piuttosto che per lo straordinario complesso della sua opera. Fu Vittorio Sgarbi ad avvertire giudici superficiali e frettolosi giornalisti che non poteva non trattarsi di un vero pittore, caratterizzato da una profonda conoscenza della storia dell'arte, assimilata e rielaborata in maniera originale.

    Quella di Christian Olivares è infatti un'opera variegata di stili anche assai eterogenei ed evocativi di correnti artistiche diverse, da cui trapela costantemente una profonda cultura pittorica ed estetica. Una delle cifre stilistiche preminenti è una certa solitudine dei corpi, sorpresi spesso in un'espressione che li raccoglie, è una certa fierezza che traspare dagli sguardi e da certe espressioni dei volti, che sono spesso colti in momenti di silenzioso raccoglimento, quasi rivelando un'attitudine un po' buddista o taoista al non pensiero, al conseguimento di quel vuoto mentale che poi costituisce la massima forma di consapevolezza.

  

I ritratti di animali e degli umani sembrano avvalersi dello stesso linguaggio muto, perché tutti sono colti negli stessi istanti d'uno stupore quieto o d'un assorto raccoglimento, scolpiti in un silenzio arcano che suggerisce una spontanea e piena accettazione di sé. I corpi e i volti vi rivelano infatti la ritrovata coincidenza di ogni essere con se stesso, con una sua semplicità radicale, con un'essenzialità limpida e incisiva. Specialmente in quelli degli animali l'assenza attonita della parola sembra donare loro uno sguardo assoluto, capace di evocare anche le espressioni più autentiche di chi invece di parola è dotato, quasi che dietro tali animali vi fossero, come disse una volta Max Scheler dei cani, esseri umani sotto incantamento. È un'impressione che si ricava guardando non solo le sue figure di cani, ma anche quelle dei cavalli o dei tori, tutti animali che rivelano nelle sue opere una forma superiore di coscienza, quasi un'innocente fierezza latente nell'uomo, e che sembrano talora alludere al desiderio di riposo dal dolore tumultuoso e multiforme che ispira la vita.

  

In altre circostanze stilistiche le figure di animali e gli oggetti reali sono poi intrecciate con altre fantastiche e con simboli che sembrano provenire da una ridda gotica d'allegorie in cui Olivares non si perde, ma che distribuisce nello spazio ampio delle sue superfici con rigore e maestria. In questo scenario composito emergono influenze diverse: del surrealismo come della pittura rinascimentale e preraffaelita, di Bosch come di Velasquez e di Goya, di Cézanne e Monet, di Picasso, Ernst e Dalì fino ad alcuni artisti tedeschi come Beckmann e Grosz, e tali influenze risultano spesso sovrapposte, disposte in composizioni evocative e oniriche mediante sintesi originali.

   Le sue grandi tele sembrano a volte trarre spunto da narrazioni mitologiche o fiabesche, altre volte dalla nuda realtà, ma descritta in modo così nitido e terso da sembrare alla fine anch'essa scaturita da un sogno. In altre ancora, come in quella che ritrae Cézanne e Monet seduti a tavola sullo sfondo di un giardino, l'evocazione della lezione dei propri maestri risulta ancora più esplicita e dichiarata, traducendosi in un omaggio ad una amicizia e a due rivoluzioni pittoriche dalle quali nascono Matisse e Picasso. Dietro la mano con il pennello di Cézanne si può infatti scorgere il primo paesaggio cubista di Picasso.

   In altri tipi di opere si possono reperire invece scorci di città quasi iperrealistici o visioni fantasmagoriche, forse suggerite da sogni capaci di percorrere la luce del giorno, ma in ogni caso il dialogo fitto con i suoi maestri indiretti dispersi nella storia dell'arte non si interrompe mai in nessuno dei suoi viaggi stilistici. L'esistenza che alla fine ne esce raffigurata è senza veli, forgiata dai suoi colori accesi e sognati, da forme misteriose o inquietanti di esseri con grandi teste o più seni, da una fantasia che si mescola e salda sovente con una percezione della realtà che sfiora il naturalismo, ma che oltrepassa in realtà ogni forma di naturalismo.

   Il disegno che fu colorato da Pacciani e che gli venne poi attribuito da un giudice malaccorto risentiva forse dell'influenza dell'espressionismo tedesco degli anni trenta, ma esso è riconducibile soltanto a uno dei tanti stili o "periodi" dell'arte di Christian Olivares, che attraverso nutrimenti molteplici costituisce un contributo di assoluto rilevo all'arte del secondo Novecento e che meriterebbe senz'altro, oltre che una nuova mostra personale nel nostro paese che includa le opere più recenti, anche ricerche e analisi ben più articolate di questa, troppo breve per poter rendere concretamente l'idea di un tragitto artistico così evocativo e variegato di tante risonanze pittoriche e di sempre nuove consonanze con la lezione dei suoi maestri elettivi.