Umberto Eco e il fascismo eterno

    Quando Franklin Delano Roosevelt sosteneva che la vittoria del popolo americano e dei suoi alleati sarebbe stata "una vittoria contro il fascismo e il vicolo cieco del dispotismo che esso rappresenta” era il 23 settembre 1944 e la seconda guerra mondiale non era ancora conclusa. Il dispotismo cui faceva riferimento Roosvelt si era rivelato un sistema efficace per colmare il vuoto di potere emerso in Italia al termine del primo conflitto mondiale, ma per riuscire a insinuarsi nella crisi dello Stato liberale era stato necessario ricorrere a una notevole dose di retorica e di populismo.

    In occasione della conferenza in lingua inglese che tenne alla Columbia University il 25 Aprile 1995, da cui venne poi tratto in traduzione italiana Il fascismo eterno, Umberto Eco fornì una spiegazione illuminante del rapido successo di Mussolini e del tipo nuovo di dispotismo da lui ideato: il leader del fascismo riuscì a cavalcare quella crisi perché "non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica", tant'è che "cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti".

    Sebbene sia stato un movimento politico essenzialmente retorico, privo di un'analisi teorica propria della società e tutt'al più in grado di dar vita a una sintesi opportunistica e precaria tra diverse visioni del mondo, il fascismo fu anche "il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire – riuscendo ad avere all’estero più successo di Armani, Benetton o Versace". Proprio questa sua consistenza retorica permise a Mussolini d'incunearsi nel tessuto politico italiano raccogliendo consensi in modo trasversale e fornendo l'impressione di poter operare una sintesi tra diverse istanze ideologiche.

    In seguito la parola fascismo divenne "una sineddoche, una denominazione pars pro toto per movimenti totalitari diversi, dato che esso conteneva, in stato quintessenziale, tutti gli elementi dei totalitarismi successivi". A differenza di questi, esso però "non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo fuzzy", non era cioè "una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla Chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori, che si aspettavano una controrivoluzione. Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent’anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a un 'duce' di tirare avanti sottobraccio a un 're' cui offerse anche il titolo di 'imperatore'. Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l’aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica 'sociale', riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine".

    Non a caso il termine fascismo si adatta a tutto: "è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound".

   Per individuare il tratto comune di tutte le ideologie che il fascismo è in grado di ispirare o di evocare Umberto Eco si serve del termine Ur-fascismo. Per questa quintessenza del fascismo "gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il 'popolo' è concepito come una qualità, un'entità monolitica che esprime la 'volontà comune' ". In altri termini per l'Ur-fascismo, per il fascismo eterno, il popolo finisce con l'avere una funzione principalmente teatrale, così come Petrolini colse ironicamente in maniera impareggiabile. Una simile vocazione teatrale, decisamente evidente nella gestualità del Duce, è del resto riemersa con forza ai nostri giorni, quando ormai si profila all'orizzonte "un populismo qualitativo tv o internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la 'voce del popolo' ". Ma non solo: siamo anche nell'epoca in cui dei comici e dei teatranti possono ergersi di nuovo a protagonisti sul palcoscenico della storia, ma questa volta non come la sua coscienza critica, alla maniera del Nerone petroliniano, bensì come agitatori di umori e risentimenti diffusi, come propinatori di una fantasmatica democrazia diretta il cui mito è ancora in grado, così come lo fu quello retorico del fascismo, di scardinare e rovesciare l'autentica democrazia liberale, la quale è, viceversa, sempre rappresentativa, costituita da pesi e contrappesi, e soprattutto da irriducibili garanzie per i diritti di ogni cittadino e insieme dall'esplicito riferimento ai suoi doveri. Per questo bisogna oggi più che mai mantenere alte e tese le proprie antenne critiche: perché "l'Ur-fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili", ed "è pronto a tornare sotto le spoglie più innocenti", celandosi spesso anche sotto le migliori intenzioni, dato che, come recita un noto adagio popolare, proprio di buone intenzioni sono lastricate le vie dell'inferno.

 

Umberto Eco, Il fascismo eterno, edizioni La nave di Teseo.