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Perché non bisogna votare per il primo partito

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 (… e come fare per riconoscere i componenti del secondo).

 

   Il primo partito non è mai una realtà monolitica, ma è da sempre composto da diverse correnti. Queste possono dar vita a un partito unico perché, nonostante le loro divergenze superficiali o apparenti, condividono le seguenti caratteristiche: 1) Sono solite autopromuoversi attraverso slogan piuttosto che attraverso argomentazioni; 2) Non sono solite trarre le conseguenze che sarebbe ragionevole aspettarsi dalle loro analisi o proposte né assumere la responsabilità delle proprie affermazioni; 3) Sembrano condividere con Hobbes la convinzione che la democrazia sia essenzialmente un’aristocrazia di oratori e tendono a considerare i cittadini votanti come dei meri strumenti di potere. In altri termini, come degli sciocchi facilmente manipolabili.

    Alla luce di queste osservazioni, sarebbe dunque preferibile non votare per il primo partito e scegliere invece di votare per il secondo. Questo, purtroppo, è da sempre minoritario, in quanto composto dall’esiguo numero di persone che quando avanzano delle proposte per risolvere problemi o affrontare situazioni difficili non cercano di nascondere ai cittadini le relative difficoltà, ma anzi le illustrano a dovere mettendole bene in evidenza. Questo secondo partito è composto dunque da persone indipendenti, che amano tenersi alla larga dal primo partito e la cui influenza sul dibattito politico è pressoché irrilevante, in quanto le loro analisi sono scomode e loro proposte impopolari.

  • Primo Partito

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Un dragone per tutte le stagioni

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Qual è l’habitat politico migliore per il capitalismo?

 

La repubblica popolare cinese è oggi il paese che ha la migliore crescita economica del mondo, ma è anche il primo paese al mondo a far registrare un così rapido sviluppo economico senza che sia stato raggiunto un elevato reddito pro capite. La sua economia è cresciuta più grazie alle esportazioni che ad una crescita corrispettivamente proporzionata della domanda interna. Ha ormai un ruolo fondamentale nel commercio internazionale e possiede enormi riserve in valuta estera; si sta comprando l’Africa e può vantare il maggior numero di miliardari al mondo, e tuttavia viene ancora per lo più considerata, e si considera, uno Stato comunista. In effetti non ha mai rinnegato, almeno formalmente, il suo passato, i cui simboli sono ancora presenti nelle sue strade o piazze, così come sulla sua bandiera.

Oggi la Cina è anche il paese che – come fa notare Jared Dianond nel suo libro apocalittico Collapse (2005) e come evidenzia Peter Hugh Nolan, direttore del Centro studi sullo sviluppo presso l’Università di Cambridge e membro del Jusus College, oltre che direttore del Chinese Executive Leadership Program (Celp) –  “contribuisce maggiormente all’emissione nell’atmosfera di clorofluorocarburi, di altre sostanze nocive per l’ozono e (tra poco tempo) di anidride carbonica; le sue polveri e gli agenti inquinanti dell’aria vengono trasportati nell’atmosfera verso est nei paesi vicini e anche nel Nord America; inoltre è uno dei due principali importatori di legname della foresta pluviale tropicale, cosa che la rende un fattore di primo piano nella deforestazione dei tropici”.

  • Capitalismo
  • Cina
  • Žižek

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La dimensione filosofica dei personaggi letterari

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    Gli intrecci e la struttura polifonica dei romanzi del diciannovesimo secolo o dell'inizio del ventesimo sono sempre più rari e chi adotta ancora oggi tali approcci narrativi riesce a farlo solo al prezzo di riferirsi a contesti familiari o sociali decisamente più angusti rispetto a quelli di allora. Soprattutto, difficilmente si azzarda a sfiorare le problematiche di largo respiro che permeavano invece le vite di quei personaggi ancora un secolo fa. Ma a cosa è dovuta questa scarsa attitudine dei personaggi letterari che abitano le opere narrative degli ultimi decenni a cimentarsi quelle problematiche filosofiche su cui invece amavano riflettere molti grandi personaggi dell’Ottocento e del primo Novecento?

   In effetti, oltre alla difficoltà da parte dell'"Io" novecentesco - già preannunciata da Nietzsche - di lasciarsi alle spalle la propria dimensione frammentaria e di misurarsi con ricostruzioni chiare e oggettive, la letteratura contemporanea pare infatti anche restia a cimentarsi con temi e problemi di carattere spirituale o filosofico. Dopo gli Ivan Karamazov, i Kirillov, i Bazarov o, avvicinandoci a noi, il Settembrini della Montagna incantata oppure l'Ulrich di Musil, i protagonisti di pur buoni romanzi del nostro secolo sembrano muoversi in orizzonti più limitati, concedono poco spazio alla riflessione, sembra che ne abbiano perso il gusto, e si trovano per lo più alle prese con problemi quotidiani, siano essi di origine psicologica o sociale.

   Allo stesso modo il narratore, anche quando non si lasci prendere nel vortice delle azioni e dei pensieri dei suoi personaggi e cerchi di raccontare come un discreto testimone immaginario le loro vicende, a volte sembra che non osi affrontare certi temi, quasi li avesse preliminarmente espunti dai risvolti della loro vita interiore. Forse ha paura di dare corpo a quei "busti del pantheon" di cui parlava Claudio Magris in suo articolo apparso sul Corriere della Sera di qualche anno fa, e tale paura non risulta infondata, in quanto oggi rischia di suonare falso il tono di qualsiasi narratore che supponga di sapere cosa passi davvero per la testa dei suoi personaggi e si arroghi il diritto di commentare, o addirittura valutare, le loro scelte morali e culturali.

   Ma se certe soluzioni - come quella di un narratore assoluto omnisciente - si rivelano sempre più incerte e insidiose, bisogna forse dedurne che quelle problematiche morali - che costituivano parte integrante della vita di molti grandi personaggi del secolo scorso - siano ormai intrattabili e ingestibili?

   Ne Il riccio e la volpe, Isaiah Berlin ricorda come a tutti gli scrittori Tolstoj chiedesse sostanzialmente tre cose: una dose sufficiente di talento; che il tema fosse moralmente importante;  e infine che amassero ciò che era degno di amore e odiassero ciò che era degno di odio mentre erano intenti al loro lavoro, ovvero che "s'impegnassero" a conservare la nitida visione diretta dell'infanzia e non distorcessero la loro natura proponendosi di praticare un'imparzialità che era necessariamente illusoria.

  • Dostoevskij
  • Mann
  • Musil
  • Tolstoy

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La luce tra l'erba

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I personaggi de La luce tra l'erba, che sono anche i suoi narratori,

sembrano animati dal desiderio di perdersi per poi ritrovarsi.

Le loro vite s’incrociano a Firenze, a Milano, a Roma, e

ancora a Praga e in Bretannia, a Parigi e New York, ma vi sono

echi della permanenza di qualcuno di loro anche a Madrid e in

Patagonia, a S.Pietroburgo e nelle isole Solovki, dove ancora

s’avverte l’alone della presenza di Pavel Florenskij.

Il narratore centrale, l’unico senza nome e in certo qual modo

“senza qualità”, può così tessere la sua tela tra luoghi evocativi

e simbolici, illuminando con lo sguardo della sua memoria

i resoconti di personaggi che, come altrettanti alberi lungo il

declivio di un rilievo erboso, sembrano allungare, verso la fine

della vicenda che li lega, le loro ombre una di fianco all’altra, sul

far della sera.

 

"Un racconto di sradicamento, malinconico e avviluppante",

Raffaele La Capria

http://www.portoseguroeditore.com/product/la-luce-tra-lerba/

  • Erba
  • Luce

Qualche indizio di felicità

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Se ti è capitato di provare simpatia per il battito del tuo cuore;

Se non è per te difficile dimenticarti in fretta dei torti subiti e non conosci il rancore;

Se hai percepito il silenzio della neve che cadeva come un messaggio segreto che l’Essere sussurrava alla tua anima;

Se sei consapevole che il male che possiamo fare o subire è solo un effetto dell’ignoranza e della paura;

Sei pensi che in fondo l’innocenza potrà sempre tornare ad affacciarsi nell'anima;

Se ti è capitato di guardare tutte le cose come se fossero le cose a guardare te, e come se fossero stupite e contente di vederti;

Se sei pronto a far schioccare le dita e a guardare la vita da un altro punto di vista e con uno sguardo nuovo;

Se non hai smarrito la voglia di giocare e sai talora prepararti a dormire come se stessi per iniziare un nuovo gioco;

Se ti sei accorto di poter essere veramente felice per la felicità di qualcun altro;

Se sei capace di provare gratitudine per chi ti ha aiutato a imparare la difficile arte di essere felice;

Se hai sperimentato e compreso che anche il dolore può contenere una promessa di felicità;

Se hai condiviso anche soltanto una di queste esperienze, di questi stati d’animo o di queste convinzioni, allora la possibilità di mantenere la promessa di felicità che, in un tempo più o meno remoto e in maniera forse inconsapevole, hai fatto a te stesso non ti sarà mai preclusa.

 


If you happened to feel sympathy for the beating of your heart;
If it is not difficult for you quickly forget the wrongs and you don’t know the bitterness;
If you felt the silence of the falling snow as a secret message that Being whispered into your soul;
If you are aware that the evil we can do or be just a result of ignorance and fear;
If you think that at the end the innocence will always be able to lean back in your soul;
If you happened to look at things as if they were things to look at you , and as if they were surprised and happy to see you;
If you're ready to snap your fingers and look at life from another point of view and with a new look;
If you have not lost the desire to play and you know sometimes you prepare to sleep as if you were to start a new game;
If you realize you can be truly happy for the happiness of someone else;
If you are able to feel gratitude for those who helped you to learn the difficult art of being happy;
If you have experienced and understood that the pain may also contain a promise of happiness;
If you shared even one of these experiences, of these moods or beliefs, then the ability to deliver on the promise of happiness that, in a more or less remote time and in a perhaps unconscious way, you did to yourself, will never be precluded.

  • Felicità
  • Happiness

Un ottimo giorno per non pensare

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   L'idea fissa, o due uomini al mare, testo per lo più trascurato dagli stessi studiosi di Paul Valéry, era al contrario considerato dall'autore una delle sue opere più significative. Dopo la pubblicazione presso Adelphi della traduzione dei suoi Cahiers, è stato riproposto dalle stesse edizioni, per l’ultima volta e in seconda ristampa, nel 2008. Come sottolinea nell’introduzione Valerio Magrelli, traduttore e curatore del volume, quest’opera costituisce un succinto repertorio tematico dell'opus postumum di Valéry. Allo stile diaristico o saggistico dei Cahiers, qui si sostituisce però quello dialogico, che i due protagonisti, un letterato e un medico, interpretano con agilità incalzante e laconico eloquio.

 

   Si tratta di una storia di distrazioni, di azioni diversive e meccaniche che sono meri pretesti per ingannare il tempo e privare la res cogitans cartesiana di uno dei suoi due requisiti fondamentali: quello di pensare sempre. Ovvero, si tratta di creare dei vuoti, o delle sospensioni del pensiero. Con l’altro requisito della stessa res cogitans, quello d’essere autocosciente, sembra esserci invece poco da fare, dato che è difficile sbarazzarsene a comando. Ma bando alle ciance: in breve, ecco dunque quanto accade, o anzi non accade, dato che qui gli accadimenti sono privi di rilievo.

 

   In una bella mattina il narratore cammina adagio nel tentativo di rallentare il corso dei propri pensieri. Questi si succedono troppo in fretta e rinunciano a svilupparsi compiutamente, sovrapponendosi e urtandosi con insistente disagio. In prossimità del mare, lungo un molo, il solitario passante decide quindi di combattere la propria angoscia con qualche istinto potente e semplice e mettendosi così a saltare da un masso all'altro impegna la propria coscienza in un'assidua sorveglianza dei propri muscoli, che si slanciano in passaggi sempre più rischiosi. Tuttavia, tra una difficoltà e l’altra, in quel breve lasso di riposo che segue allo sforzo, il narratore percepisce che l'assurdo è sempre in agguato.

 

   Da ogni lieve rilassamento della sua tensione atletica trapela di nuovo il vortice delle congetture interrotte, che risucchiando come un buco nero la coscienza, la incaglia in soffocanti acrobazie spirituali. Forse un pensiero s'interrompe perché, scorgendo in anticipo il proprio esito, ne percepisce la ritorsione prospettica sull'Io, al quale conviene, per non lasciarsi sorprendere in una posizione sgradevole o vacua, mutare repentinamente la propria angolazione. Purtroppo però, man mano che le congetture si affrettano in percorsi sempre più esili, l'Io stesso si fa inconsistente: si rivela, come Valéry lo definisce nei Cahiers, un punto fittizio e un'invenzione enorme. Per fortuna, mentre la concentrazione del narratore sul proprio corpo diviene sempre più fragile e il rumore del mare incombe vittorioso, quasi felice, a scandire il frangersi dei suoi pensieri, il frastornato atleta intellettuale scorge, tra due dadi di cemento, un uomo apparentemente intento a dipingere e/o pescare.

 

   In realtà quell'uomo, un medico, sta solo fingendo di fare entrambe le cose. Perché finge? È un modo come un altro per tentare di non pensare, dato che il fingere di fare qualcosa dovrebbe, nelle sue intenzioni, contribuire a placare il moto perpetuo della sua intelligenza. I due si presentano, e non appena constatano l'affinità delle loro condizioni danno vita ad un dialogo lucido e teso, a tratti euritmico, incrociando le loro riflessioni senza intenzione polemica, attratti entrambi dai riflessi filosofici che osservano sul filo, a volte paradossale, della loro logica. A poco a poco s'intendono alla perfezione e assorbiti dal piacere d'anticiparsi a vicenda, soddisfatti di potersi alternare nella tessitura delle più svariate elucubrazioni, pare che riescano a sciogliere se stessi dal gravoso assemblaggio d'idee e d'associazioni che li pervade. Così, reggendosi reciprocamente la tela su cui tracciano, con poche linee sapienti, una sorta di senso complessivo del nonsenso, a poco a poco anche i loro rispettivi “io”, o almeno i resti di queste enormi invenzioni, sembrano disperdersi nell’aria e trasvolare il mare.

 

Paul Valéry, L’idea fissa, a cura di Valerio Magrelli, Piccola biblioteca Adelphi, 2008, 2ª ediz., pp. 152.

 

 

 

 

  • Valery

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