Perché non bisogna votare per il primo partito

 (… e come fare per riconoscere i componenti del secondo).

 

   Il primo partito non è mai una realtà monolitica, ma è da sempre composto da diverse correnti. Queste possono dar vita a un partito unico perché, nonostante le loro divergenze superficiali o apparenti, condividono le seguenti caratteristiche: 1) Sono solite autopromuoversi attraverso slogan piuttosto che attraverso argomentazioni; 2) Non sono solite trarre le conseguenze che sarebbe ragionevole aspettarsi dalle loro analisi o proposte né assumere la responsabilità delle proprie affermazioni; 3) Sembrano condividere con Hobbes la convinzione che la democrazia sia essenzialmente un’aristocrazia di oratori e tendono a considerare i cittadini votanti come dei meri strumenti di potere. In altri termini, come degli sciocchi facilmente manipolabili.

    Alla luce di queste osservazioni, sarebbe dunque preferibile non votare per il primo partito e scegliere invece di votare per il secondo. Questo, purtroppo, è da sempre minoritario, in quanto composto dall’esiguo numero di persone che quando avanzano delle proposte per risolvere problemi o affrontare situazioni difficili non cercano di nascondere ai cittadini le relative difficoltà, ma anzi le illustrano a dovere mettendole bene in evidenza. Questo secondo partito è composto dunque da persone indipendenti, che amano tenersi alla larga dal primo partito e la cui influenza sul dibattito politico è pressoché irrilevante, in quanto le loro analisi sono scomode e loro proposte impopolari.

 

   Ciò non dovrebbe tuttavia costituire una buona ragione per non sostenerli, almeno quando si appartiene idealmente alla loro medesima categoria minoritaria, e almeno in quei pochi casi in cui trovano il coraggio civile di presentarsi come candidati a delle elezioni.

    Trovare questo coraggio è un loro preciso dovere morale e politico: perché membri dell’invisibile, trasversale ed eternamente minoritario <<secondo partito>> possono avere molti difetti, ma sono gli unici in grado di far fronte alle circostanze complesse e drammatiche che la nostra epoca ci pone di fronte, perché al contrario della quasi totalità degli appartenenti al <<primo partito>> hanno tutta l’aria d’essere ancora degli <<uomini>> piuttosto che dei <<caporali>>. Verrebbe perciò voglia di spronarli ad unirsi, mettendo da parte le divergenze su questioni che in questo momento sono solo marginali.

   Ma come potrebbero i cittadini elettori riconoscerli tra molti? Un metodo che, per quanto semplicemente indiziario, potrebbe rivelarsi efficace è il seguente: ciascun elettore prenda come cartina di tornasole un tema o una questione che conosce abbastanza bene, elabori quella che gli pare la soluzione del problema più ragionevole e la sottoponga all’attenzione del candidato che gli pare fornire le maggiori garanzie. Il candidato interpellato ha quattro tipi di risposte possibili: 1 - Il non rispondere (di gran lunga la più frequente e probabile); 2 - “La sua proposta non mi pare una buona idea per questo e questo motivo”; 3 - “La sua proposta mi pare buona e condivisibile, ma è irrealizzabile per questo e questo motivo”; 4 - “La sua proposta mi pare buona e condivisibile e farò tutto quanto è nelle mie possibilità per verificarne sino in fondo la fattibilità perché vorrei realizzarla”.

   Qualora la risposta del candidato sia evasiva e indefinita, può essere assimilata al primo tipo, nel quale rientrano tutti i politici che presumono di essere tanto indaffarati da potersi esimere dal rispondere a precise domande o proposte dei cittadini elettori. Qualora invece la sua risposta rientri in una delle altre tre tipologie, ci sono discrete probabilità di trovarsi di fronte, quanto meno, a una persona seria, che quando sottolinea l’importanza, come i politici fanno spesso, di saper <<ascoltare la gente>> non si sta riempiendo la bocca di parole vuote, emesse con l’unico scopo di abbindolare gli stessi cittadini elettori.

   Certo, se ogni politico dovesse rispondere ad ogni domanda o proposta dei cittadini elettori probabilmente vedrebbe bloccata ogni sua altra attività, ma potrebbe comunque incaricare qualche sua persona di fiducia di riunire le domande e le proposte affini in pochi gruppi cui sarebbe poi possibile fornire risposte esaurienti e circostanziate. Una simile disponibilità a un dialogo vero con i cittadini elettori non solo non sarebbe impossibile, ma si rivelerebbe piuttosto in grado di garantire un grado di trasparenza democratica del potere raramente raggiunto fino ad oggi.

  In questo modo, forse, gli esponenti del secondo partito, quello eternamente minoritario, potrebbero a poco a poco dimostrare la loro maggiore competenza rispetto a quelli del primo, insieme ad un modo decisamente più congruo e democratico d’intendere i rapporti con i loro elettori. In questo modo, forse, a poco a poco, il secondo partito potrebbe superare il primo nei consensi: dimostrandosi capace di smascherare le menzogne e le ipocrisie dl primo, di portare alla luce i suoi trucchi trasformisti e le strategie demagogiche, il secondo partito potrebbe donare una nuova dignità, nello stesso tempo, a tutto il corpo elettorale e a tutta la classa dirigente.

   Una simile ipotesi, così, di prim’acchito, può sembrare utopica, irrealistica e fantasiosa, ma se alcuni esponenti iniziassero a fornire ai loro compagni di partito una patente di lealtà e onestà intellettuali condividendo con loro una seconda tessera, che potrebbe essere concessa solo a persone che sappiano confrontarsi in maniera seria e corretta con i loro interlocutori su qualsiasi tema o proposta, forse potrebbe rivelarsi non troppo fantasiosa o irrealistica, dimostrandosi invece capace di garantire la formazione di una nuova e migliore classe dirigente.