Rieducare e punire

  Il disegno di legge Zan, che dopo la sua approvazione alla Camera è in attesa di essere discusso al Senato, sta sollevando un dibattito a cui hanno preso parte molte voci autorevoli in materia costituzionale. Per esempio, secondo Giovanni Maria Flick, giudice emerito della suprema corte, di una legge simile non c'è bisogno: la Costituzione infatti già vieta che "il 'sesso' possa costituire una motivazione di diseguaglianza e di diminuzione della pari dignità sociale". Ma non solo: il disegno di legge Zan contiene anche "un errore tecnico grave", in quanto rende più perseguibili alcuni tipi di discriminazioni rispetto ad altre. Si tratta quindi, per Flick, di "una materia che dovrebbe rimanere "nella sfera della libertà dell’individuo", dato che altrimenti "si rischia di dar luogo a una sorta di "io ti tutelo se" che finirebbe, nonostante le buone intenzioni, per comprimere la libertà d'opinione.

    Un'altra critica è stata mossa da Pietro Dubolino, presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione, secondo il quale c'è il rischio che ddl Zan produca effetti non dissimili da quelli cui si è già pervenuti "sotto la vigenza dell’attuale art. 604 bis del codice penale (riproduttivo dell’art. 3 della legge n. 654/1975)", dal momento che il timore di essere denunciati potrebbe indurre ad evitare di esprimersi in termini politicamente non corretti. E il venir denunciati per simili motivi non è certo un'eventualità peregrina, visto che Oriana Fallaci venne sottoposta a procedimento penale per aver pubblicamente sostenuto che la religione islamica era incompatibile con i principii della nostra civiltà, come invece dovrebbe essere lecito opinare.  

     Poi c'è chi, come il professor Aldo Loiodice, costituzionalista e docente alla Facoltà Aldo Moro di Bari, sostiene che il ddl in questione sia addirittura contrario alla Costituzione, perché riservando all'omosessuale o al transessuale maggiori tutele rispetto ad altre categorie di persone viola l'articolo 3, lasciando inoltre aperta una questione cruciale: "chi giudica, e con quale autorità, se una frase è contraria o ispirata da sentimenti negativi e di odio?".

   Anche Michele Ainis, noto giurista e costituzionalista, componente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, sostiene che la legge sull'omofobia sia "l'ultima trincea di guerra", l'effetto di un dibattito militarizzato come non c'era stato nemmeno ai tempi della legge sull'aborto. Secondo quanto ha dichiarato Alessandro Zan – ricorda Ainis – "il sale della legge è questo: in futuro nessuno potrà dire che i gay devono essere bruciati nei forni. E perché adesso si può dire? L’istigazione a delinquere è già reato, punito dall’articolo 14 del Codice penale con la reclusione sino a cinque anni, e infatti il consigliere regionale della Lega che ha pronunciato quella frase è stato denunciato". Non solo, "nel nostro ordinamento è già prevista l'aggravante, e si chiama si chiama circostanza aggravante per motivi abietti o futili, e a norma dell’articolo 61 del Codice penale comporta l’aumento fino a un terzo della pena".

    Secondo il professor Cesare Mirabelli, ex presidente del Csm e della Corte Costituzionale, destano in particolare qualche preoccupazione gli articoli 4 e 7 "che dovrebbero fornire delle garanzie per la libertà di pensiero e religiosa". Si tratta invece di articoli che lasciano un margine interpretativo "troppo ampio", dato che "il rapporto anche temporale e di contesto tra una posizione culturale e religiosa espressa e l’eventuale successivo atto violento o discriminatorio è assolutamente vago. Addirittura le associazioni cattoliche potrebbero essere perseguite per i ruoli differenti al loro interno tra uomini e donne. O perché le donne sono escluse dal sacerdozio", mentre un’università cattolica potrebbe essere denunciata penalmente per il tipo di testi di bioetica adottati.

   Alla luce di questo florilegio di riserve viene quindi da chiedersi come si possa essere arrivati al muro contro muro intorno a questo disegno di legge. Il sospetto è che esso contenga un vizio di fondo sottile e subdolo, in grado di rivelare la vera posta in gioco, che è quella di stabilire per legge dei parametri etici, culturali e politici escludendone altri come illegittimi.

    La strategia per conseguire quest'obiettivo si basa su una sorta di ricatto implicito non dissimile da quello cui, secondo Theodor W. Adorno, sono sottoposti coloro che s'imbattono nel gergo heideggeriano: chi lo asseconda e lo adotta è in grado di capirlo, mentre chi si rifiuta di usarlo si preclude anche la possibilità di comprenderlo, cosicché qualsiasi critica dall'esterno non potrà che risultare comunque non pertinente. In questo modo, Heidegger rivela, secondo Adorno, la natura ricattatoria e implicitamente fascista della sua proposta filosofica, che esclude dal confronto dialogico qualsiasi posizione critica non si sia previamente subordinata all'accettazione del suo impianto lessicale e categoriale.

    Con il disegno di legge Zan accade qualcosa di molto simile, perché fin dalla enunciazione della legge si sostiene che certe posizioni (omofobe, transfobiche etc) siano implicitamente collegate a qualche tipo di "fobia". Ora, le "fobie" sono disturbi psichici che in taluni casi possono rivelarsi gravidi di conseguenze dolorose e pericolose. Si pensi per esempio alle forme di fobia più famose, come l'agorafobia o la claustrofobia, che denotano comunque una reazione eccessiva e sostanzialmente irrazionale di fronte ad alcuni fenomeni o circostanze. In teoria, dunque, chiunque non sia allineato con il gergo politicamente corretto può essere ritenuto portatore di tesi irrazionali, e di conseguenza persona inaffidabile e persino in grado adottare comportamenti violenti, o d'innescarli in altri fobici.

    Una volta ricondotte a qualche tipo di fobia le tesi non allineate con il "politicamente corretto" perdono ogni legittimità e possono essere di fatto equiparate a teorie che sono il sintomo di qualche disposizione patologica. Così liquidate, il gioco è fatto, e si può instaurare nei loro confronti una procedura discriminatoria e punitiva già sperimentata con successo in Unione Sovietica, quando coloro che venivano spediti nei Gulag in molti casi non erano semplicemente accusati di sostenere teorie politicamente eretiche (questa motivazione avrebbe corso il rischio di risultare discutibile) ma di essere affetti da qualche disturbo mentale, così da rendere necessarie terapie e reclusioni rieducative.

    Naturalmente, per poter essere accusati di "discriminare" in qualche modo una minoranza o l'altra potrebbe bastare molto meno di quanto scritto a suo tempo dalla Fallaci: perché infatti non dovrebbe costituire una forma di "discriminazione" di origine fobica il ritenere per esempio che si debbano mantenere distinti i matrimoni dalle unioni civili? Nonostante le precisazioni per le quali il reato d'opinione in questo caso non potrebbe sussistere, infatti, si tratterebbe pur sempre di una "discriminazione" di cui potrebbe essere imputato chi dovesse esternarla.

    Sia Flick sia Dubolino sollevano non a caso il ragionevole dubbio che, sebbene il disegno di legge cerchi di rassicurare circa il rispetto di opinioni diverse da quelle ritenute politicamente corrette, sussista il fondato timore che non offra in merito adeguate garanzie. Una spia in tal senso è proprio la precisazione seguente, contenuta nell'art. 4: “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

    Ma "le condotte legittime" lo sono per definizione, e "non possono costituire reato", spiega Flick. Perché allora precisare che quelle riconducibili al pluralismo delle idee sono fatte salve? Non sottintende forse quest'affermazione che ve ne siano alcune non riconducibili a tale pluralismo, e che dunque non possono essere fatte salve? E chi stabilisce, e in base a quali parametri, se non sono "idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori e violenti"?

    Ma in fondo queste riserve possono essere superate se si tiene conto che tutte le discriminazioni perseguibili in base al ddl Zan rivelano qualche fobia: essendo dunque sostanzialmente irrazionali, sono anche infondate e possono provocare comportamenti pericolosi per la società, che dovrà pertanto premunirsi per poterle sorvegliare, rieducare e punire.