L'estetica di Simone Weil

 

di Gaia Gavish

 

   “Un’opera d’arte ha un autore, eppure quando è perfetta ha qualcosa di essenzialmente anonimo. Imita l’anonimato dell’arte divina. Così la bellezza del mondo prova un Dio che è insieme personale e impersonale, è né l’uno né l’altro”. (Simone Weil)

   Un’opera d’arte, come ogni essere umano, ha qualcosa di sacro; non è il suo modo da rappresentare la realtà, né il materiale usato, è la sua bellezza intera. Come l’opera d’arte, ogni essere umano ha qualcosa di sacro, che è la sua parte impersonale.

    Se quel che vi è di sacro in lui per me fosse la persona umana, potrei cavargli gli occhi. Una volta cieco, sarà una persona umana esattamente come prima”.

   Ciò che trasforma la persona umana in sacra per me, dunque, non è il fatto che ho mutilato la sua ‘umanità’, ma è la mancanza di rispetto verso la sua persona. È impossibile definire il rispetto della persona; ogni volta che succede, ogni volta che siamo testimoni di un orrore del genere, proviamo ciò che Aristotele concepiva nella Poetica, ovveroi sentimenti di pietà e di terrore; questi sentimenti, presenti all’interno di ognuno di noi formano un grido silenzioso. Il grido è ciò che è sacro in ognuno di noi, è la necessità del bene, è la nostra impersonalità, dove il Bene è la sua unica fonte.

   Il Bene non esiste, trascende ogni realtà, è fuori dal tempo e dallo spazio, di conseguenza, non avremo mai la capacità di conoscerlo. Nel mondo dei sensi e dei sentimenti, l’unico modello del Bene è il Bello, esso è la copia del Bene. Solo con la conoscenza sensibile possiamo conoscere la divinità del Bene, ed è con l’amore del Bello che amiamo Dio; in tutto ciò che suscita in noi il sentimento del bello Dio è presente.

 

   È solo con il contatto con la realtà che possiamo percepire la vera bellezza. L’immaginazione è definita da Weil come la barriera tra la conoscenza e la realtà:

“due prigionieri separati da un muro, comunicano con colpi sul muro. Ciò che separa, unisce. Il mondo separa da Dio, ma è anche mezzo di comunicazione con Lui.”

   Il misticismo è uno degli elementi fondamentali della filosofia di Simone Weil: il suo misticismo è in semplicemente, un paradosso; e il paradosso più significante è quello di Dio. Secondo la Weil, la nostra distanza da Dio è, nel tempo stesso, la nostra connessione con Lui. Come con i due prigionieri, l’unica fonte di comunicazione con il divino è ciò che ci separa, è il velo con cui Dio maschera il Bene nel mondo ed è ciò che determina il Bello.

   L’immaginazione, definita come il velo tra la vera conoscenza e il divino, è strettamente connessa al desiderio, inteso non come il desiderio carnale, materiale, ma il desiderio immateriale, vuoto, è il desiderio per il bello.

   L’immaginazione è unita al desiderio, però è il desiderio per un oggetto, è il desiderio per la sopravvivenza, per le cose materiali; il desiderio senza un oggetto, invece, è privo di qualsiasi forma di immaginazione.

   La Bellezza non può essere mai desiderata, essa può essere amata e desiderata solo perché è, per la sua esistenza completa e unitaria. È impossibile desiderare ciò che vogliamo mantenere. Il Bello è, nel suo significato, una rinuncia della concupiscenza, del desiderio carnale:

   “Il Bello è un’attrazione carnale che tiene a distanza e implica una rinuncia. Compresa la rinuncia più intima quella dell’immaginazione. Si vuol mangiare tutti gli altri oggetti del desiderio. Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che esso sia.”

  Desiderare qualcosa è, in altri termini, la sua distruzione. Il bello non può essere desiderato per due semplici motivi: il primo è che è impossibile amare qualcosa nello stesso modo con cui amiamo il Bello e distruggerlo. il Bello è l’impersonalità di tutte le cose, non solo dell’arte: è ciò che sacro nella nostra attenzione alle cose, anche più piccole; il bello non è solo il bello sensibile, il bello è l’anima di ogni azione buona, rivolta verso l’altro. Simone Weil ha scritto “L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità”, che non è altro se non un’altra forma del Bello, ovvero del Bene sulla Terra. Il secondo motivo è perché il Bello è necessariamente contemplativo. Io desidero il Bello a “distanza”.

   “La bellezza promette sempre e non dona mai alcunché”;essa suscita un desiderio, ma non è un desiderio che soddisfa la fame materiale: esso nutre quella parte nell’animo che osserva la realtà. Il bello suscita un desiderio, una fame, ma non vuole che sia mai soddisfatto, perché il bello non deve dare nulla in cambio, deve solo essere.

   L’arte per la Weil è analoga alla persona umana: ciò che è impersonale nell’opera dell’arte è la sua Bellezza, è la sua impersonalità, è ciò che è sacra in essa. L’impersonalità dell’arte è la sua distanza, è l’anima della bellezza; è ciò che l’artista imita della natura. Ogni artista ha una distanza, ma non è la stessa distanza che riguarda gli spettatori, è la distanza da sé verso sé.

   Ciò che trasforma un tentativo in un’opera d’arte è l’azione dell’imitazione. L’impersonalità dell’arte è la bellezza della natura: è la stessa bellezza che sta all’origine delle cose. Nello stesso modo in cui l’arte imita la natura così l’uomo imita Dio, e Dio non è altro che l’impersonalità della natura e, di conseguenza, l’impersonalità di noi stessi.

    Solo tramite la distanza, nel tempo o nello spazio, materiale o spirituale, possiamo subire una purificazione. Solo attraverso la distanza possiamo sentirci uniti al divino, perché Egli scrive che ciò che separa unisce, e l’assenza del divino è ciò che ci permette di esistere. Dio, un essere così perfetto e completo in ogni aspetto, doveva sottoporsi un processo di auto-eliminazione, doveva annullarsi, per garantire l’esistenza di tutti gli esseri, perché nessuna creatura poteva esistere quando Dio era: solo quando non esisteva più, l’esistenza poteva risorgere. Così la distanza di Dio permetteva la nostra esistenza.

   L’estetica di Simone Weil non ci spiega solo la sua concezione di cosa è la bellezza e di cos’è un’opera d’arte, non è solo la definizione e la scienza dei nostri sentimenti intorno all’arte: il pensiero estetico, o meglio, la vita estetica, è la nostra valutazione, è il nostro giudizio su come dobbiamo osservare il mondo, su come ci dobbiamo comportare e, ancor più importante, su come possiamo scoprire e valutare ciò che è sacro e impersonale in noi.