Vocazione e apprendistato dei poeti
Friedrich Schiller: Sulla poesia ingenua e sentimentale; "Se" edizioni
Il poeta, o è natura, o vorrà riconciliarsi con la natura; o cercherà di "far felice il proprio oggetto, o d'elevarlo". Nel primo caso abbiamo il poeta ingenuo, nel secondo il sentimentale. "L'ingenuo è una fanciullezza che si manifesta là dove non è più attesa (…), il sentimentale è la capacità d'elevare la realtà all'ideale", ovvero di trovare nell'ideale quell'unità con la natura alla quale il poeta sentimentale non può accedere spontaneamente.
Amanti al femminile
Margherite Duras, L'amante , Feltrinelli
Colette, Chéri , Adelphi
Colette, La fine di Chéri , Adelphi
In ogni opera letteraria si possono distinguere dei limiti interni e dei limiti esterni. Quelli interni sono dati dal mondo dell'autore, dai personaggi che riesce ad individuare e dalle storie che si propone di costruire.
L'uomo che scambió sua moglie per un cappello
Oliver Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi
Sulla scia dell'eminente studioso russo A. R. Luria - autore di alcune opere fondamentali per la neurologia contemporanea quali Le funzioni corticali superiori nell'uomo e Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla - Oliver Sacks, neurologo newyorkese e scrittore per vocazione, ha raccolto in un volume di brevi racconti le storie inquietanti e spesso amare di alcuni suoi pazienti.
Un ottimo giorno per non pensare
L'idea fissa, o due uomini al mare, testo per lo più trascurato dagli stessi studiosi di Paul Valéry, era al contrario considerato dall'autore una delle sue opere più significative. Dopo la pubblicazione presso Adelphi della traduzione dei suoi Cahiers, è stato riproposto dalle stesse edizioni, per l’ultima volta e in seconda ristampa, nel 2008. Come sottolinea nell’introduzione Valerio Magrelli, traduttore e curatore del volume, quest’opera costituisce un succinto repertorio tematico dell'opus postumum di Valéry. Allo stile diaristico o saggistico dei Cahiers, qui si sostituisce però quello dialogico, che i due protagonisti, un letterato e un medico, interpretano con agilità incalzante e laconico eloquio.
Si tratta di una storia di distrazioni, di azioni diversive e meccaniche che sono meri pretesti per ingannare il tempo e privare la res cogitans cartesiana di uno dei suoi due requisiti fondamentali: quello di pensare sempre. Ovvero, si tratta di creare dei vuoti, o delle sospensioni del pensiero. Con l’altro requisito della stessa res cogitans, quello d’essere autocosciente, sembra esserci invece poco da fare, dato che è difficile sbarazzarsene a comando. Ma bando alle ciance: in breve, ecco dunque quanto accade, o anzi non accade, dato che qui gli accadimenti sono privi di rilievo.
In una bella mattina il narratore cammina adagio nel tentativo di rallentare il corso dei propri pensieri. Questi si succedono troppo in fretta e rinunciano a svilupparsi compiutamente, sovrapponendosi e urtandosi con insistente disagio. In prossimità del mare, lungo un molo, il solitario passante decide quindi di combattere la propria angoscia con qualche istinto potente e semplice e mettendosi così a saltare da un masso all'altro impegna la propria coscienza in un'assidua sorveglianza dei propri muscoli, che si slanciano in passaggi sempre più rischiosi. Tuttavia, tra una difficoltà e l’altra, in quel breve lasso di riposo che segue allo sforzo, il narratore percepisce che l'assurdo è sempre in agguato.
Da ogni lieve rilassamento della sua tensione atletica trapela di nuovo il vortice delle congetture interrotte, che risucchiando come un buco nero la coscienza, la incaglia in soffocanti acrobazie spirituali. Forse un pensiero s'interrompe perché, scorgendo in anticipo il proprio esito, ne percepisce la ritorsione prospettica sull'Io, al quale conviene, per non lasciarsi sorprendere in una posizione sgradevole o vacua, mutare repentinamente la propria angolazione. Purtroppo però, man mano che le congetture si affrettano in percorsi sempre più esili, l'Io stesso si fa inconsistente: si rivela, come Valéry lo definisce nei Cahiers, un punto fittizio e un'invenzione enorme. Per fortuna, mentre la concentrazione del narratore sul proprio corpo diviene sempre più fragile e il rumore del mare incombe vittorioso, quasi felice, a scandire il frangersi dei suoi pensieri, il frastornato atleta intellettuale scorge, tra due dadi di cemento, un uomo apparentemente intento a dipingere e/o pescare.
In realtà quell'uomo, un medico, sta solo fingendo di fare entrambe le cose. Perché finge? È un modo come un altro per tentare di non pensare, dato che il fingere di fare qualcosa dovrebbe, nelle sue intenzioni, contribuire a placare il moto perpetuo della sua intelligenza. I due si presentano, e non appena constatano l'affinità delle loro condizioni danno vita ad un dialogo lucido e teso, a tratti euritmico, incrociando le loro riflessioni senza intenzione polemica, attratti entrambi dai riflessi filosofici che osservano sul filo, a volte paradossale, della loro logica. A poco a poco s'intendono alla perfezione e assorbiti dal piacere d'anticiparsi a vicenda, soddisfatti di potersi alternare nella tessitura delle più svariate elucubrazioni, pare che riescano a sciogliere se stessi dal gravoso assemblaggio d'idee e d'associazioni che li pervade. Così, reggendosi reciprocamente la tela su cui tracciano, con poche linee sapienti, una sorta di senso complessivo del nonsenso, a poco a poco anche i loro rispettivi “io”, o almeno i resti di queste enormi invenzioni, sembrano disperdersi nell’aria e trasvolare il mare.
Paul Valéry, L’idea fissa, a cura di Valerio Magrelli, Piccola biblioteca Adelphi, 2008, 2ª ediz., pp. 152.
Con Beckett nei teatrini del cuore
Cosa ci fa Samuel Beckett nei teatrini del signor Egli, nei luoghi della sua infanzia, accovacciato tra le betulle della dacia russa dove Egli ha soggiornato nell’età matura? Si potrebbe dire che lo aspetti, in silenzio, senza aspettarsi da parte sua niente, nemmeno un’ombra di senso oltre quello puro del viaggio, di una ridda di luoghi incastonati nella memoria come ninnoli o gioielli.