L'agguato

 

 

 

                                           Gustavo Micheletti

 

                                               L'AGGUATO

                         (Della morte alla vita e della vita alla morte)

                                                   (Poesie)                        

 

 

 

                                           Smesso di fumare.
 
 
 
Prima, la pipa scandiva
la giornata, disegnava
i momenti della vita.
Ora, non c'è più riposo,
e piatto è il tempo;
non si alzano più le onde
sulla riva prima dello slancio;
ricade sempre il vento
eguale tra una fumata
della pipa mancata
e l'altra che non c'è stata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                         Il canto del gallo
 
 
 
La luce che risale la china del corpo
addormentato sprigiona un sorriso
che plana oltre le bianche lenzuola,
sul prato dove il gallo immola al nuovo
giorno il collo teso e piumato.
 
Il canto che risale nell'aria
sprigiona una nuova luce rosa
nel verde del prato dove il collo
variopinto s'inarca ed inchina.
 
Ma quando il gallo si tende e s'inarca
nel verde del prato, il sorriso scompare
tra le lenzuola e s'inchina alla luce
che tinge le labbra socchiuse di rosa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                       Sera d'estate
 
 
Il vento si raccoglie sulle spighe,
e tra i fili d'erba trascolora.
Fanciulla brilla la luce della sera,
come i fiori d'un altra primavera.
S'attardano nella campagna
le ombre distese tra i viali,
mentre il suono d'una campana chiama
per la cena gli stanchi commensali.
La vita non si lascia prendere,
se n'è andata di soppiatto,
in punta di piedi, come un gatto
di cucina, soddisfatto del suo piatto.
La vita scappa sempre come l'onda
che riparte dopo essersi franta
sulla riva, risucchiata verso il mare
come se nulla dovesse mai finire
mentre grida e muore.
La luce tra l'erba ci abbandona
a poco a poco, senza volerci destare.
Anche il silenzio improvviso
delle cicale s'impressiona
nell'erba dove la luce muore.
Un nuovo giorno avvenire trascorre
senza voler passare e ci torna
incontro dall'azzurro del cielo.
Noi restiamo sospesi, protesi
ad ascoltare il lieto rumore del vento
tra l'erba, a guardare il giorno
che scompare nel folto delle spighe,
sul manto che ci ricorda il mare,
i tonfi sordi e discreti dell'onde
sulla riva, come un nonnulla
che diviene nuova pietà che muore.
 
 
 
 
 
 
 
                                  La bottiglia e il piattino.
 
 
 
Un barbone sporco con una penna
bicolore in mano (strana una penna
bicolore nella mano di un barbone)
sorseggia piano il suo vino,
e scribacchia sopra un fogliettino.
La signorina dei tavoli, nel vagone,
sembra apprezzarne l'espressione.
Aveva messo lui, il barbone,
la bottiglietta del suo vino
giusto sopra il suo piattino,
e non sulla bianca tovaglietta,
che peraltro era già sporca,
e la signorina dei tavoli,
a lui con gli occhi aperti
che l'ascoltava ha detto che tanta
premura nel mettere sul piattino
la bottiglietta era un gesto raro,
e che se voleva lui poteva restare
ancora seduto nel vagone al tavolino,
nonostante l’ora di chiusura, a finire
di bere con tutta calma il suo vino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                      Lo scoiattolo
 
 
 
Uno scoiattolo lieto della propria astuzia,
lesto di zampe e con sale in zucca,
ha preso dall'albero una noce e l'ha nascosta
furtivo nel suo ripostiglio segreto, l'ha riposta
nel suo nascondiglio con il guscio intatto
e si è addormentato mentre sentiva di soppiatto
battere ancora forte nel petto il suo cuore inquieto.
                    
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                        Prima di dormire
 
 
 
 
Com'è facile dormire!
Basta un po' di slancio
e l'orizzonte fatale si schiude.
Qualche passo indietro, ed è fatta.
Ci vuole sempre un po' di rincorsa
per trovare lo slancio.
 
Le pareti sono fatte per avvicinare.
Dalla stanza attigua ti sento studiare.
(I capelli sfiorano la pagina, tormentati
dalla mano rimasta senza matita).
 
L'orizzonte fatalmente appare,
la rincorsa comincia
a farsi slancio.
 
Spicco il salto, e poi volo.
Quando si vola, per un po',
non si accenna a cadere.
Basta una rincorsa leggera
prima di dormire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                    Le quattro cause
 
 
 
Le cause finali tramano alle spalle,
verso l'avanti, e nel contempo
le costellazioni degli eventi trascorsi
nell'avvenire della loro successione
tramano all'indietro, impennandosi
all'improvviso verso un inizio
immaginario, nodo di cause formali,
efficienti e materiali, ch'era già
segno d'un destino, d'una sorte
che reggeva il filo della trama tesa
nel passato, filo appeso a una rupe
gelata nel futuro ch'è stato
appena oltrepassato, filo che si fa
sguardo teso, orizzonte che s'apre
per richiudersi sul retro
del tempo finito e appena incominciato.
Prospettiva che s'apre e si richiude
in fretta, appena in tempo, è la vita:
che per aprirsi in avanti deve chiudersi
anzitempo, e subito riavvolgersi
a ritroso prima che di nascere sia finita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                         Compagna della sera
 
 
 
Come una farfalla
sull'erba della sera,
m'accompagna lieta
la tua curiosità
festosa e severa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                    Il galletto argentino
 
 
 
Perché cantava troppo
il galletto argentino
l'hanno strangolato.
Sui rami di susino,
in un pomeriggio di sole,
ho trovato un ciuffo
delle sue piume.
Filo per filo riluceva
l'erba sul prato. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                           L’agguato I
 
 
 
Il vorace foionco non si aspetta pietà,
perché non pensa d'offrirne in acconto.
La lucertola al sole vorrebbe restare
desta e placida nel suo sonnecchiare,
vorrebbe levitare senz'amarezza di tedio
o nenia febbrile, fiutare l'aria fino
al prossimo passo arcuato nella fuga
perpetua da fine sicura, e ridestarsi
in un nuovo prato colmo d'insetti gustosi.
Ma il foionco non le riserva nessuna pietà
e d'un balzo l'afferra scagliandosela in gola.
Lo fa però troppo in fretta, così in fretta
che non riesce nemmeno a gustarne
del tutto l'amaro sapore prelibato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            Dire e ridire
 
 
 
Prima c'è un pensiero
che nasce, un dire qualcosa,
poi il ridire un’altra cosa
su quel che s'è detto,
e noi non siamo mai
nello stesso posto,
ma nemmeno in un posto
nuovo, perché ad ogni dire
manca sempre il suo resto,
che è sempre diverso,
ma anche sempre eguale
nel mancare a sé stesso.
 
Ma se con perizia ti rovesci
nel nonnulla che ti addita
potrai vedere il residuo
asciutto di quel che resta,
bianco e muto, sul retro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                         Pensieri al bar
 
 
 
Il suono dei pensieri
ritorna eguale sul volto
di chi seduto sorride
a chi passa e prosegue.
 
La voglia di parlare
con chi procede senza
sosta dirige il suono
dei suoi pensieri.
 
Nello sguardo sorridente
dell'uomo seduto al bar
risuonano frattaglie
del proprio conversare
col viavai dei passanti.
 
Nei loro movimenti svelti
e nel loro sommesso brusio,
riconosce il parlottare di Dio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                    Attraversare lo specchio
 
 
 
Attraversare lo specchio,
questo è il fine segreto
nascosto nella ripetizione
del solito gesto.
Attraversare la radura
dove la sosta si fa breve
e ogni riverbero conferma
ritorta, per restare senz'ombra
e poter avanzare senza macchia
in silenzio, senza eco di voce
sospesa né resto d'implorazione,
prendendo atto di quanto rimane
ogni volta cadendo ad osservare
l'immagine propria che s'allontana
correndo nello specchio a ritroso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 Risveglio
 
 
 
Il desiderio d'essere incontaminati,
d'essere un appassionato sobrio giuoco
dischiude sentieri dolorosi,
ci sospende ad un fremito esile
come a un sussulto di foglie increspate
sui rami, al trascolorante ammiccare
della rosa inesplosa e purpurea;
fino a quando un urlo non sazierà
il mare di sete che ci percuote
e non ci risveglieremo al solito sogno:
l'interposta persona cui somministrare
ogni giorno con parsimonia la vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                           L'agguato II
 
 
 
Il gorgoglio del mosto olezza dal tino,
una lieta cicala ghermisce una mosca.
Fuori giace l'estate assordante su di un pino,
dentro, scalpita circospetto un gatto felino,
occhieggia e sobbalza, finge sorpresa
ed astuzia; poi salta fuori e s'invola.
All'improvviso ristà, serio: la cicala
sbianca il cielo con la sua cantilena,
lui si chiede che fare di cotanta lena;
poi ammutolisce l'eco sopra il pino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                   Le mancate occasioni
 
 
 
Nutrirsi del negativo, d'assenze
e di mancate occasioni è sfiorare
la vita con una lunga leva
che può sollevare sempre di più
di quanto si propone e cui sfugge
sempre ciò che vuole; rimangono là
dove le ha toccate, le cose
care che voleva rapire
e ci portiamo dietro macigni
e pietruzze di varia foggia
dall'aria inutile e interrogativa
che paiono chiedere stupite
che cosa le si è prese a fare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                    La gioia di parlare con te
 
 
 
La gioia di parlare con te,
come una farfalla azzurra
che di tanto in tanto si posa
sulla mia testa nuda,
mi vola accanto lieve
e indiscreta, prodiga di attenzioni
per ogni cosa viva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                      Com'è bello scrivere!
 
 
 
Com'è bello scrivere quando non si ha
nulla da dire, e si sente il nulla
che si ha da dire, e si lasciano cadere
le parole sul bianco nulla che si ha da dire
e che già le contiene tutte senza dire nulla
come se nulla fosse bastevole a dire
il bianco che si vuol sentire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            Un mare di felicità
 
 
 
C'è un mare di felicità che mi viene
addosso come in un incubo, beffardo
e millantatore, roba d'altre vite.
La vita si rinnega incredula e muta:
magra albicocca snocciolata, sembra
finta, e quasi non è più da mangiare;
piacciono solo le sue composte lentiggini
e la sua cavità tenue e disarmata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                     Titti e la lattina di Coca
 
 
 
C'è una Titti che padroneggia le cose,
groviglio di tattiche vane
amministra potere, distribuisce distanze,
elogia l'incalzare minuto del tempo spietato;
ma poi ce n'è un'altra
che da sola per strada rimane atterrita
dalla quiete insonne di una lattina di Coca
schiacciata, e allora finge disperata allegria
prendendo a calci la piccola vita
che appare nella cosa finita
e sopravvive nella muta freschezza del bere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            L'agguato III
 
 
 
Di notte, oltre le mura della città
antica, riposa un rigagnolo d'acqua,
colmo di minacciose e agguerrite stelline,
d'ossa di passeri e di rane silenti.
 
All'alba, lungo i bordi della piccola
corrente, che trascura sdegnosa il tempo
che l'insegue, l'ombra di un grande uccello
appare, tuonando in cerca di felici
prede sapienti.
 
Ma le prede dormono sotto il sole
e non rispondono al suo appello.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                     La giraffa sperduta
 
 
 
Dopo una prolungata ascesa,
una piccola giraffa sperduta
s'incammina sopra una gamba
levigata della placida Serena;
infine si accoccola sopra una cima,
tra la peluria odorosa
e imperlata.
In quella turbolenta quiete,
tra le umide pieghe dei tessuti,
in una cavità buia e misteriosa
ha il sospetto si nasconda
un qualche ordigno dotato d'una volontà
persistente e rapace.
Allora annusa l'aria profondamente
e respira, decisa a trovare
nella penombra del bosco
una qualche forma di vita amica
che la distolga dal suo perpetuo vagare
o che almeno la voglia accompagnare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            Sepoltura
 
 
 
In un angolo del giardino
dovrà essere sepolta,
tra le bionde cosce sue
sottili, i denti acuminati,
le labbra e gli occhi
chiari, le parole sue malvagie,
la mia anima resa edulcorata
e vile, ed ogni altro alterco
e tradimento dei piedi suoi dannati.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            Ridi e piangi
 
 
 
Ridi e piangi, carne di melo,
proprio ora che sei fiorita;
poi senza pudore ti guardi
e ti ricordi di quanta gioia
hai perso nei fiori.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            L'agguato IV
 
 
 
Il bastardo lupo rabbioso e randagio
ha trascorso la domenica a digrignare
i denti nascosto in una conca;
in attesa della morte di un passante.
 
I passanti vagavano mortali,
le anche incastonate sulle gambe,
e le loro teste dondolavano puerili
in bilico sui nerboruti colli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                           La mosca
 
 
 
Ho avvelenato una mosca
in fondo ad un bicchiere
di vino; ed ora sono sazio
come un placido insetto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 Il sasso
 
 
 
C'è un sasso nel mio cuore,
un sasso spigoloso da giardino
dove urtano con fracasso i desideri;
un sasso sordo,
nascondiglio e tana vuota,
senza letargo di pena.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            L'agguato V
 
 
 
La giovane cerva s'allontana imprudente
dal suo piccolo branco, fiutando l'aria
sogguarda rapita le ombre giocare sui rami
degli alberi e va allo scoperto nella
radura, ammiccando ad un inesistente
predatore in agguato. Bruca l'erba
tenera sfiorandola appena con le labbra
e si lascia osservare incantata, quando
un uccello variopinto sbatte veloce
le ali volando su di un ramo vicino
e lei finge di credere sia giunto
il momento in cui è bello fuggire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
         
 
 
 
 
                                                 Il ramo
 
 
 
Vorrei che spuntasse
dalla mia testa un ramo,
e oltrepassasse l'argine
dove ridono i folletti
dei tuoi desideri.
Vorrei che tornasse la nebbia
intorno agli alberi del giardino
ovale e sentire l'eco della mia voce
cantare dietro la testa bionda
della ragazza in motorino.
Ma tutto ciò che al condizionale
mi propongo di desiderare e dire,
si aggira in catene oltre la riva
del fiume lasciandosi scempiare,
e nulla può farlo trasalire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                          Sonno
 
 
 
Ora che la vita si è fatta
muta, implosa nel suo scrigno,
il ricordo non è più variopinto
e terso, il suo guado aspro
è conservato sul fondo
senza risonanza, e opaco è il sogno.
Come la vita muto giardiniere
indaffarato nei suoi gesti
assenti, l'opera mia compio a poco
a poco, la fronte ripiegata
sotto il tetto rassicurante del silenzio;
ogni gesto ha un breve alone amaro,
incolore, segreto: è il sonno d'una gioia
intatta e piena che si disvela
senza trovar pace, e poi tracima e tace.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                              Agguato VI
 
 
 
La bestia che riposa nel suo laccio
troppo poco dolor d'affanni non la consola.
Argonauta piangente e casto, eretto sopra
un'acerba stele, tiene fissi gli occhi
su ciò che soltanto si può, amare
per avere, con l'estasi del tatto.
Lungo il clinamen della parola scivola
lenta la sua attesa della pupa nudata
che l'asseta, e soltanto il vento
lo rincuora che un cielo bruno trascolora
verso un'altra turchina aurora.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                       Cosa si può capire
 
 
 
Cosa si può capire
oltre la disposizione
di fronte alla vita,
che è sbagliato
ed inutile dire
perché non si può
consumarla tagliando
nel centro la pena?
 
Una illusione:
 
che in un punto si formi
una forza ed una espressione
esclusiva, soppressione
di qualche errore fatale.
 
Soppressione di qualche errore
fatale, si forma un'espressione
in un punto, un'espressione
ridente e recisa nel volto.
 
Frattanto l'errore soppresso
è condannato a riemergere
sempre, dentro le medesime
spoglie sempre più nell'interno
camuffato e vero, d'amore
infinita diatriba, adescamento
del cielo, nuova menzogna
della sua trasparenza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                              Riposo
 
 
 
Riposo senza dolore nell'asprezza
di una sera imprevidente e rapace,
mentre voci ovattate calunniano sul prato
il pianto sereno che si sprigiona dalla luna.
 
Se ne sta da solo in cima ad un albero
a pensare, un frammento delle mie ossa
profumate, e batte il tempo, con un tintinnio
che ad ogni rintocco il vento prosciuga.
 
Il profilo del volto ed il mormorio
cupo di chi furiosamente mi sussurra
all'orecchio parole d'amore, disegnano
nel buio le crisalidi di un rapido sgomento.
 
Tenere evoluzioni di speranze piegate,
i pensieri s'incontrano solo su uno
schermo di possibilità, dove il non essere
che li abbraccia li finge senza paura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                               Sera di festa
 
 
 
In una sera di festa ho visto
svariate possibilità ancora lievi
dissolversi anzitempo, ricoprirsi
d'un alone opaco. Le ho percepite
germogliare in un'alcova d'amarezza
e disagio e poi assopirsi in un frastuono
di convenzioni rapaci.
Dopo una sera di festa ora
ripenso come pietra rabbiosa
a l'isterilirsi immoto di tanti
piccoli sogni screziati, agli occhi
e agli incerti sorrisi che brillavano
verso una radura di vento, oltre
la sera di festa percorsa dal riso,
in un'attesa penosa di parole sonore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                Il tempio
 
 
 
Ogni equo pretesto dà fondo
ai pilastri di un tempio
sobriamente dolente.
Ad ogni costo il tempio
solenne sobriamente si erge,
risuona e rimane.
L'eco delle sue campane
ristà dapprima nell'aria
fresca della sera,
trepidante e raffermo
come un grido impietosito,
poi fugge su per le colline
con la sua brezza leggera.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                       Rovine
 
 
 
Indugia a pensare
sotto un tenero muschio
sospeso tra archi incolori,
la mia testa liscia d'oblio.
Tra le ombre di alti
edifici, spoglio bastione
di pietra fiorita d'erba
parassita e tenace, al di là di ciò
che rimane, oltre l'inerzia
fresca del vento, emana
una cantilena e un lamento.
Poi, anfibio palustre
e notturno,
si sofferma a mirare
un vivoso poliedro stellare.
 
 
         
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                La poesia
 
 
 
La poesia non è per me
un succulento piatto dove
ognun s'arrechi ad intorbidar
la lingua; ma è come il pane,
ch'ognuno mangia soltanto
e perché ha fame.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                L'agguato VII
 
 
 
Accanto a un ciclamino che sotto il cielo
niveo si disgrega, un orso feroce dietro
un masso, tra opachi steli irrigiditi,
ode gli schiamazzi attenti degli uccelli
e odora il tenue gelo che avverte sulle ciglia:
poi solleva lo sguardo lungo i rosei
declivi di fronte alla montagna,
in procinto d'osservare una slavina.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
               
 
                                             Le parole
 
 
 
Le parole che non lasciano
traccia, per ricercare cosa
hanno una voce?
E’ forse per ritrovar
chi parla che lasciano
un alone indecifrato?
Cose da dire, non sono
dette, ma ritrovate;
avvincono senza lambire.
Sono aeroliti che disegnano
lo spazio con la loro scia
gemmata, sardoniche risate
proferite da serpi sassaiole.
Ma tutte le parole oltrepassano
di una sola misura sempre eguale
la breve ragione del loro svanire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                         L'agguato VIII
 
 
 
Questa sorda attesa, che progetta esili
slanci, che ostenta una sincerità proba,
è come la ragnatela dove il ragno se ne sta
rattrappito a divorare le sue mosche immaginarie.
 
Non appena cessa il loro cupo ronzio
e un dolore nuovo s'affaccia, la mosca
vera all'improvviso appare, si divincola e vola.
 
Finalmente certo di non averla presa
il ragno si rallegra della sua fuga
e quietamente riprende a ricamare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
    
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                          
 
 
 
 
                                      Il posto delle fragole
 
 
 
Nel posto delle fragole
ho scoperto tra le zolle,
in un profondo nascondiglio
sotto terra abbandonato, un nido
d'uccelli immerso nell'azzurro,
e sulla mia nuca è fiorito
inaspettato come da un cespuglio
un sorriso roseo e dissennato,
d'altre vite fresco rimasuglio
mai prima d'ora riesumato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 Destino
 
 
 
Negli acquitrini d'autunno,
nel rigoglio del giallo
e nel verdastro limo,
s'inarca il ramo d'un pino;
il suo pennacchio d'aghi
sprofonda sott'acqua
e poi di nuovo fa capolino,
escogitando con grazia
la forma del proprio destino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                              La puttana
 
 
 
La bianca puttana sta nella notte
come un perdono nell'eco d'una voce,
e nella luce della luna si disvela
come un giglio che aspetti la rugiada
di chi guarda e piano s'allontana.
Il suo essere sola e tutt'intera
sotto la coltre buia del cielo,
le dona quell'aura immota
che soltanto s'irradia silenziosa
dalla morsa stretta della vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                            Cosa vai a fare?
 
 
 
Vado a dare una cosa
a lei, che mi attende
distesa arrivare.
Lei attende una cosa
che porto, non una rosa
non una vasca fiorita,
ma l'ancora arrugginita
che profuma di mare.
Lei attende, che cosa?
Il ferro ritorto
che per trattenerla
le s'incagli nel cuore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                         Lo sparviero
 
 
 
 
La vita s'è rintanata nell'ansa d'un male
uggioso, dove non si leva più il vento
e più non trema nell'aria la prispola al sole;
ormai s'avverte nel cuore solo il muto
tonfo inane del tempo sfumato, schivo
d'ogni ricordo o lieto presagio, privo
d'ogni randagio irridente avvenire.
Rimane solamente il silenzio del vento
sulle corolle mattutine a dischiudere
l'anima distesa nell'ombra, il canto
d'un grande uccello macchiato di nero,
l'alto grido immobile dello sparviero
appena levatosi contro il cielo in volo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
       
 
                               “Chi parla solo spera parlare un giorno a Dio".
 
                        (Rileggendo una poesia di Antonio Machado)
 
 
 
Tutti parlano sempre a qualcuno,
e chi non parla a nessuno ha già
lanciato in aria un qualcuno
con cui parlare in gran segreto,
il levitatore supremo,
l'acrobata dell'ultimo piano,
ed è a lui che parla quando
crede di pensare liberamente,
immaginando di non parlare a nessuno
e di essere finalmente solo:
eterno ritorno del non accadere,
occhi senza volto d'un abisso
quieto, inane nastro del tempo
che si rilegge avanti e indietro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                               Voler bene
 
                (Rileggendo “Platero y Io” di Juan  Ramon Jimenez)
 
Voler bene è voler bene.
Non c’è niente di diverso
nel voler bene,
e niente di uguale.
 
Voler bene è il trotterellare dell’anima
nel patio dell’infanzia, dove i sogni
addormentati stanno raccolti d’estate
ad ascoltare la cantilena del sole.
 
Voler bene è il lieto azzurro trotterellare
di Platero sempiterno, luce di ogni anima
propensa a indugiare sulla foglia ripiegata
accanto alla rosa che sporge dal pozzo.
 
Voler bene è l’esitazione prima del bacio
sulla bocca della ragazza che vola nei campi
e all’improvviso si ferma davanti ai tuoi occhi
con le labbra scarlatte socchiuse e piangenti.
 
Voler bene è non voler abbandonare l’ombra
del cipresso che macchia l’orto concluso
dove la vita rimane da sola e la cornacchia
sbatte con fragore le ali senza prendere il volo.
 
Voler bene è voler bene, è  il solito battito,
lo stesso gesto che si ripete nel cuore dischiuso,
lo stesso pulsare cieco che dal pozzo buio risale
verso la stessa rosa bianca in attesa del vento.
 
Voler bene è voler bene, è ogni giorno lo stesso
sorriso, il pianto sereno che non muta il suo accento,
perché ogni giorno non c’è  niente di così diverso
e di così proprio eguale nell’ombra bianca del sole.
                                 
 
 
 
 
 
                                 Ripreso a fumare
 
 
 
All'alba di un mattino,
nella luce ancora incerta
dopo un anno quasi d'allora,
mentre il vento ulula infastidito
per il dover destare un nuovo giorno,
riprendo con calma una pipa,
una delle predilette,
tenuta riposta in un cassetto
(ma forse è più di un anno)
e piano piano la carico
guardando fuori il bianco
rosato delle nubi specchiato
nell'ombre volanti sui prati.
 
Quindi, preparatala con cura,
l'accendo.
E riprendo a fumare
senza un motivo.
 
Da solo, nell'alba nuova
di un giorno che s'annuncia inquieto,
nel fumo che s'alza placido
e s'invola verso la finestra
socchiusa vedo in lontananza
una macchina che passa sulla strada
ancora deserta spengere i fari.
 
E’ giorno.
Si può andare avanti a fari spenti.
L'alba, in un certo senso,
è già finita.
 
Spalanco la finestra, e l'aria fresca
mi sfiora la faccia col suo profumo lieto.
A grandi passi s'avvicina la sera.
Anche la pipa è già quasi finita,
e la sua nube bianca è sfumata
dalla finestra appena richiusa.