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La demofollia e la fragilità della nostra democrazia
Tra i vari libri scritti da Michele Ainis Demofollia è certamente quello che anticipa di più il proprio contenuto nel suo titolo. Poiché all’interno di questo saggio brillante gli argomenti che costituiscono altrettanti indizi di demofollia spaziano dai referendum alla burocrazia, dalle leggi che dovrebbero tutelare dalle fake news e garantire la privacy fino all’immigrazione, allo Jus soli e ai recenti sistemi elettorali nostrani, ci limiteremo qui a trattarne solo due particolarmente insidiosi per la democrazia.
Il primo riguarda le condizioni in cui versa il nostro sistema giudiziario, specialmente alla luce dei sospetti circa la sua crescente politicizzazione: in virtù della concorrenza fra partiti, sindacati e associazioni, la magistratura, e in particolare il suo consiglio superiore, paiono sempre più caratterizzati da un pluralismo politicamente non neutrale e partigiano. Si sono infatti formati dei “piccoli partiti giudiziari, ciascuno con i propri capi e sottocapi” che rischiano di subordinare l’indipendenza della magistratura agli interessi della politica.
Ebbene, come si potrebbe scongiurare l’eventualità di un consolidamento di un simile scenario anche all’interno del Csm? Secondo Ainis sorteggiando i suoi componenti, cioè formando “per sorteggio la delegazione di 16 togati (gli 8 membri laici li elegge il Parlamento) che rappresentano la magistratura italiana all’interno del Consiglio. Ovviamente con taluni accorgimenti, con un sorteggio, per così dire, ‘pilotato’. Ma tagliando alla radice gli scambi di voti e di favori che circondano ogni tornata elettorale. Del resto, sono elezioni per modo di dire. L’ultimo Csm – continua Ainis spiegando la sua proposta – è figlio d’una scelta fra 21 candidati, appena 5 in più dei posti in palio. Evidentemente l’accordo fra correnti giudiziarie precede l’elezione stessa, la rende in qualche misura irrilevante. Da qui la proposta avanzata dal primo governo Conte nel luglio 2019: una prima fase attraverso l’uso del sorteggio, selezionando un numero di candidati cinque volte superiore ai seggi; poi l’elezione dei nuovi consiglieri. Da parte loro, – continua Ainis - il presidente dell’Anm e il vicepresidente del Csm dichiarano all’unisono: il sorteggio sarebbe una soluzione irrazionale. Ma allora è irrazionale pure la Costituzione, che ne prescrive l’uso per aggiungere 16 membri alla Consulta, quando giudica sui reati del capo dello Stato (articolo 135). E la Consulta è il massimo tribunale del Paese, mentre Mattarella è il primo magistrato; l’una e l’altro pesano più del Csm”.
Non si tratta però dell’unica obiezione ricevuta dalla sua proposta: “altri obiettano che la proposta sia di destra, chissà mai perché. Forse erano di destra Aristotele e Platone, che legavano la democrazia al sorteggio?” replica Ainis, per il quale invece “la platea dei giudici ben si presta all’uso del sorteggio, perché è una comunità di pari e nessuno può sentirsi scavalcato”. In questo modo si potrebbero individuare i componenti del Csm sorteggiandoli tra quanti si sono distinti per laboriosità, o magari, ancora meglio, in base all’indice di decisioni confermate in appello. In pratica, un sorteggio tra i migliori. Trattandosi di una questione cruciale per l’effettiva sussistenza di una vera separazione dei poteri, potrebbe essere una soluzione da prendersi seriamente in esame, indipendentemente dal suo presunto profumo ideologico.
Un altro cronico problema italiano su cui il saggio di Ainis si sofferma è l’ipertrofica produzione di leggi e leggine che caratterizza il nostro paese, uno dei più burocratici del mondo che, non per caso, ha nella sola capitale tanti avvocati quanti ce ne sono nell’intera Francia. Come asseriva Guglielmo di Ockam, Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem, ma questo principio metodologico è ampiamente trasgredito in Italia, dove invece “enti e accidenti si moltiplicano, s’estendono, figliano come conigli. Lo ha certificato l’Istat: nel quinquennio 2011-2015 le nostre istituzioni pubbliche sono cresciute del 5,7 per cento, sicché ammontano a 12.874 unità”.
Secondo Ainis, e risulta piuttosto difficile dargli torto, non si tratta solo di un danno, ma anche di una beffa, “giacché in quegli stessi anni soffiava sempre più potente la retorica della semplificazione, con i suoi inganni, con i suoi miraggi. C’era infatti all’opera un ministro per la semplificazione; e c’era una pioggia di riforme che promettevano di rendere più semplice la vita ai cittadini, asciugando la penna d’oca del burocrate. Non soltanto la legge Madia (n. 124 del 2015), da cui è scaturito un diluvio di decreti delegati (almeno 20, ma il conto è approssimato per difetto). A mettere in fila gli atti normativi adottati durante la XVII legislatura, se ne incontrano 18 dove la semplificazione s’affaccia già nel titolo. Di conseguenza piovono riforme semplificatrici sui campi più svariati, per la gioia di chi vende ombrelli: dall’intelligence (decreto legislativo n. 54 del 2015) alle autorità portuali (decreto legislativo n. 169 del 2016), perfino agli ascensori (decreto del presidente della Repubblica n. 8 del 2015). Ma in realtà piove dal febbraio 1918, quando venne istituita la prima Commissione per la semplificazione burocratica; mentre la prima legge di semplificazione fu battezzata da Bonomi nel 1921. Da allora in poi ogni semplificazione genera nuove complicazioni”.
Da allora, in pratica, più si è detto di voler semplificare e più si sono complicate le cose e nulla lascia presagire che vi sia stato qualche cambio di direzione negli ultimi tempi, anzi. Ma quale lezione potremmo trarre da questi scenari? Secondo Ainis, che da noi “le riforme amministrative sono armi di distrazione di massa, se non proprio un ‘imbroglio’, come ha scritto Fabio Merusi”, anche perché la loro attuazione non dipende quasi mai da chi le ha approvate in parlamento, ma “dalla volontà dei governi successivi, dalla condivisione da parte delle burocrazie ministeriali, dall’accettazione giurisprudenziale. Insomma, nessuna riforma amministrativa si esaurisce nella legge che la genera; semmai la riforma comincia con la legge, e di solito insieme alla legge cominciano i problemi. Dunque molte leggi, molti problemi. E molti comitati, anche”.
Questi sono stati adottati in misura crescente negli ultimi anni, dato che molte nuove leggi sono riuscite a produrre ulteriori microcosmi burocratici in grado di produrre notevoli tassi d’inefficienza, per ridurre i quali i comitati sono spesso apparsi come le soluzioni più pratiche e sbrigative. Un esempio su tutti potrebbe essere costituito dalla legge di bilancio del 2017 (legge n. 232 del 2016), che “occupa oltre mezzo milione di caratteri, e il suo generoso seno allatta per 24 volte la parola “comitato”, per 35 volte qualche “commissione”, per 30 volte le “strutture di missione”.
Ma questi sono solo alcuni esempi di demofollia. Come ricordava qualche sera fa Massimo Cacciari a 8 ½, l’Italia è il paese che ha 5 volte il numero di leggi che ha la Francia e 10 quello della Germania. Qualcuno forse pensa che l’efficienza di un paese, tanto della sua economia quanto del suo sistema giudiziario, possano essere immuni da un simile gravame di procurata, ridondante e perniciosa burocrazia aggiuntiva?
Alla luce di questi e altri indizi di demofollia, verrebbe addirittura voglia d’ipotizzare soluzioni ancora più drastiche, e anche più provocatorie, rispetto a quelle proposte da Ainis, come per esempio quella d’incaricare una commissione composta da giuristi nominati da tutti i partiti in misura proporzionale ai loro seggi in parlamento per ridurre a un decimo di quelle attuali le leggi oggi presenti nei codici. Una volta terminato il lavoro di riduzione, che dovrebbe essere caratterizzato anche dall’adozione di un linguaggio chiaro e a tutti intellegibile, come i padri costituenti avevano insegnato a fare, si tratterebbe poi di operare la sostituzione vera e propria, per risvegliarsi il mattino dopo con un fardello di leggi e burocrazia finalmente decente e non più demofolle, ma in grado di meglio garantire l’equità della legge per tutti i cittadini e una maggiore efficienza del sistema giudiziario e democratico.
Michele Ainis, Demofollia, Edizioni La nave di Teseo,