I pensieri sordi e l'inconscio
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L’espressione “Pensées sourdes” è usata da Leibniz nei Nuovi saggi sull’intelletto umano per definire tutti quei pensieri che, pur essendo riconoscibili come “veri”, non ci persuadono interamente e non sanno provocare un cambiamento nel nostro modo di sentire o di comportarci. Essi non sono in grado di “toccare l’anima” – scrive Leibniz – né di sospingerci a perseguire scelte coerenti con i nostri propositi razionali.
Nell’ambito della filosofia leibniziana il problema individuato da tale nozione è connesso sia con quello sollevato dall’esistenza di pensieri non consapevoli – quelli stessi pensieri “clandestini”, “marginali” o “impercettibili” che furono al centro di un intenso dibattito nel contesto del cartesianesimo – sia con alcune caratteristiche salienti della “conoscenza intuitiva”.
Scopo della presente opera non è tuttavia di ricostruire la storia di tali problemi e del loro rapporto solo nel periodo storico in cui essi sono stati individuati e discussi, ma anche di ripercorrerne la genesi e lo sviluppo dagli inizi della filosofia occidentale fino ai giorni nostri. Il saggio trae infatti spunto dalla riflessione di Platone e Aristotele e affronta alcuni aspetti della speculazione medievale ; quindi, dopo essersi soffermato sulla filosofia del XVII secolo e su quella di Leibniz in particolare, perviene a esaminare i risvolti e le interpretazioni del problema posto dai “Pensieri sordi” nel pensiero filosofico contemporaneo e nella psicoanalisi, e ciò nel duplice intento di fornire una visione d’insieme del variegato tragitto compiuto da tale problema e di proporre altresì, alla luce della sua storia e della sua attualità, una nuova prospettiva di lettura della psicologia leibniziana.
Einige cartesianische Philosophen wie Pierre Nicole und der Benedektiner Francois Lamy definierten jene Gedanken, die sich zumindest provisorisch der Bewusstseinskontrolle entzieben, als 'marginal', 'heimlich', 'unwahrnehmbar' oder 'taub'.
Dank vor allem dem grundlegenden Aufsatz von G.R. Lewis « Le problème de l'inconscient et le cartesianisme», der 1950 in Paris publiziert wurde, scheint der Gebrauch solcher Adjektive seitens cartesianischer Philosophen manchmal etlichen Aspekten der zeitgenossischen Theorie der Psychoanalyse sehr prazis vorzugreifen. Mit dem Ausdruck 'Taube Gedanken' jedoch bezieht sich Leibniz auf deutlich wahrgenommene und geausserte Gedanken.
Bei einer ersten Ueberprufung solchen Begriffes fallen also besondere Zusammenhange mit dem Konzept des 'Unbewussten', was aus dem Werk von Leibniz hervorgeht, nicht auf. In der Tat scheint die wesentliche Eigen-schaft dieser Art von Gedanken nur diejenige zu sein, die Wunsche, jener Gedankentrager nicht modifizieren zu konnen. Bei einer eingehenderen Ueber-prufung aber scheinen sich doch einige Zusammenhange herauszustellen.
Das Thema, der vorliegenden Schrift betrifft genau solche Zusammenhange im Kontext des leibnizschen Denkens.