Quale strategia per una tragedia epocale?
Nel dibattito acceso e talora sleale sul tema dell’immigrazione che si sta svolgendo da tempo in Italia si sentono spesso ripetere due tesi opposte: secondo quella che viene professata soprattutto da destra, i migranti sarebbero un problema “in sé” per ragioni economiche e culturali; dunque sarebbe opportuno che venisse impedito o scoraggiato il loro arrivo e che, almeno quando non hanno diritto di asilo, fossero rimpatriati quanto prima coloro che sono già sbarcati. Secondo la tesi che si sente professare soprattutto da sinistra sarebbero invece “in sé” una risorsa, e i loro arrivi, invece di spaventare e indurre a reazioni intolleranti, dovrebbero piuttosto renderci felici per il contributo che possono fornire alla nostra asfittica economia.
Entrambe queste tesi sono complessivamente false, pur essendo giuste in parte. L’immigrazione può essere davvero un bene per il paese ospitante – e in molti casi lo è stato in misura assolutamente rilevante, basti vedere la storia degli Stati Uniti e anche quella di molti paesi dell’America latina, o dell’Australia - non meno di quanto lo può essere per i migranti, quando tale paese può fornire loro un’opportunità di lavoro e tutti i diritti di cui godono i suoi cittadini. Ma quando queste garanzie non possono essere offerte, o non possono più essere conservate, da un vantaggio per entrambi, paese ospitante e migranti, una simile accoglienza priva di garanzie non potrà che rivelarsi uno svantaggio per tutti.
Questo cambiamento di segno dipende da un fattore non marginale e non trascurabile: quello della quantità. Qualsiasi paese può offrire un’opportunità di lavoro solo a un certo numero di cittadini e produce comunque un discreto livello di disoccupazione; quindi, per qualsiasi paese il numero delle persone che può accogliere è limitato e oltre di esso si può solo andare a infoltire il numero degli indigenti e di coloro cui sarebbe doveroso fornire assistenza.
Ma nessuno Stato e nessun tipo di governo è in condizione di fornire assistenza a un numero indefinito di cittadini: il numero delle persone cui è possibile fornirla è infatti direttamente proporzionale al numero di persone che lavorano e non è comunque illimitato. Inoltre, quando non è più possibile garantire un’opportunità di lavoro a tutti e il disagio sociale raggiunge livelli di guardia non è più sicuro che si possa continuare a garantire a tutti nemmeno il godimento dei loro diritti fondamentali e si rischia di innescare una guerra tra poveri che può avere conseguenze socialmente e politicamente devastanti.
In un simile scenario in genere si affrontano due tipi di fazioni sempre più incapaci di dialogare e confrontarsi in maniera argomentata e razionale: quella di coloro che vorrebbero espellere, scacciare, erigere muri, reprimere, incarcerare, sorvegliare e punire e quella di coloro che vorrebbero comunque continuare ad accogliere, assistere e garantire. I primi non si rendono conto che la loro soluzione è inadeguata a far fronte a una tragedia epocale, e i secondi continuano, con una discreta dose di mala fede, a ritenere che tutto possa risolversi con le buone opere dello spirito solidale, come se la capacità di accoglienza e di assistenza fossero provvidenzialmente infinite.
Per quanto concerne, in maniera più specifica, la situazione in cui versano il nostro paese e il nostro continente, l’unica soluzione efficace, sebbene certamente non di facile attuazione, sarebbe quella di riuscire - con un’iniziativa europea, e non in ordine sparso - da un lato a proteggere le frontiere, così da far arrivare solo quel numero di migranti che in effetti è possibile accogliere, e dall’altro a instaurare un regime di collaborazione economica con quei paesi da cui i migranti provengono, in modo da creare lì delle opportunità di lavoro.
Purtroppo vi sono almeno due difficoltà non di poco conto per realizzare entrambi questi obiettivi. Per proteggere le frontiere sono necessari accordi con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, il che è stato anche fatto; ma questa soluzione non è possibile con quei territori ancora privi di un governo stabile e affidabile, come la Libia, da cui proviene la maggior parte dei migranti.
L’unica risposta al problema sarebbe in effetti tanto politicamente “scomoda” e “scorretta” che qualsiasi governo o leadership europea non potrebbe prenderla neppure in esame: quella di occupare militarmente le coste libiche fino a quando quel paese non si sarà dato un governo (o anche più di uno, ma reciprocamente riconosciuti) con cui si possa arrivare a un accordo. Tuttavia, se non si addiviene in tempi brevi a una stabilizzazione politica della Libia, questa strategia, per quanto “scomoda” e “scorretta” possa risultare, ci pare l’unica in grado di porre fine alle ondate di migranti e alle migliaia di morti che queste recano con sé.
Il numero delle persone che muoiono ogni anno nel nostro mare potrebbe comunque essere almeno ridotto se si proibisse di inviare all'estero più di cento euro ogni mese a tutti coloro che si sono imbarcati clandestinamente dalle coste del Mediterraneo: infatti, poiché chi lavora in Europa spedisce in genere oltre metà dei suoi guadagni alle famiglie che ancora vivono nei paesi d’origine, e poiché si tratta in molti casi di quelle stesse famiglie allargate che gli hanno prestato ingenti quantitativi di denaro per intraprendere il viaggio, se venisse meno la possibilità restituire tali somme e di mantenere dall’Europa diversi nuclei famigliari verrebbe anche meno, almeno per molti, anche la motivazione a intraprendere queste rischiosissime imprese.
Per quanto riguarda invece la difficoltà concernente l’altra ipotesi cui si è fatto cenno, e che consiste nel predisporre una concreta ed efficace collaborazione economica con i paesi di provenienza, ipotesi già da tanti e da tento tempo ventilata, tale difficoltà è riconducibile, almeno in parte, alla diffidenza abbastanza giustificata che le potenze occidentali nutrono rispetto al fare investimenti e fornire collaborazione economica a paesi politicamente instabili e spesso soggetti a repentini e violenti cambi di potere al vertice. Una volta superata questa diffidenza, sarebbe “solo” una questione di volontà politica, che potrebbe tuttavia essere influenzata dalla consapevolezza sempre più diffusa che si è davvero di fronte ad una tragedia epocale.
La condizione per poter promuovere seri interventi nei paesi da cui proviene l’ondata migratoria - condizione che potrebbe restituire fiducia a chi è in condizione d’investire in quei paesi – dovrebbe essere grosso modo la seguente: saranno concretamente e fattivamente aiutati tutti quei paesi che si impegnino a inserire nelle loro “Costituzioni” o nella loro legislazione un principio molto semplice, il cui rispetto si impegnano altresì a lasciar controllare dalla comunità internazionale e dai governi con cui s’instaura il rapporto collaborativo: che tutti i cittadini, anche quelli che appartengano ad un’esigua minoranza, godono degli stessi diritti davanti alla legge e che tutte le loro libertà fondamentali, in campo civile, religioso e politico, devono essere tutelate. Probabilmente, se in maniera compatta ci si impegnasse a fornire aiuti efficaci ai paesi che a loro volta s’impegnassero ad assecondare questo principio, a poco a poco anche altri, risultati alla mano, cercherebbero di seguirne l’esempio adottandoli come modelli di riferimento sempre più credibili.
Viceversa, senza intraprendere queste strategie - che ci sembrano, per quanto irte di difficoltà, le uniche in grado di produrre qualche effetto positivo rispetto alle tragedie migratorie del nostro tempo - le due posizioni che si stanno già fronteggiando sul tema in Italia e in Europa saranno destinate a inasprirsi man mano che il fenomeno continuerà a rivelarsi non controllabile e fino a quando la vittoria apparentemente definitiva di una parte non innescherà la reazione violenta dell’altra. Allora qualsiasi intervento o correttivo, per quanto possa risultare in parte calmierante, risulterà tardivo, perché si saranno prodotte fratture che sarà molto difficile risanare per via democratica, fratture che risulteranno evidenti all’interno di ciascun Stato, ma anche - e forse questo è il dettaglio più inquietante e pericoloso - anche tra Stato e Stato della vecchia Europa, che sotto la pressione dell’ondata migratoria è sempre più percorsa da tristi e ciechi nazionalismi.