Ennio Flaiano, i fascisti e gli antifascisti sedicenti
Ci sono due modi d’intendere il significato del termine fascista: in senso proprio, è chi ha fatto parte di un movimento o di un partito politico che è stato attivo in Italia dal 1919 al 1945, o di altri partiti che si sono, anche successivamente, ad esso dichiaratamente e fondatamente ispirati. In senso esteso, chi si comporta e pensa di avere diritti che non è disposto a riconoscere agli altri, di poter esercitare sul prossimo prepotenze o soprusi, anche mentre guida, nonché varie forme di violenza per ridurlo in una condizione di sottomissione.
Nella prima accezione è abbastanza semplice riconoscere coloro che meritano tale appellativo, dato che sono essi stessi a fornire buoni motivi per farsi riconoscere, autoproclamandosi tali. Nella seconda accezione non è sempre altrettanto facile. I fascisti in senso esteso sono infatti presenti nella società in modo trasversale, attraversano vari gruppi e classi, si mimetizzano in genere piuttosto bene tra gli altri cittadini e talora s’indignano se vengono apostrofati con un simile appellativo.
Non necessariamente i fascisti in senso esteso si proclamano tali in senso proprio; così come chi si autoproclama fascista in senso proprio non necessariamente lo è anche in senso esteso. A volte quelli propriamente detti sono solo nostalgici d’un’età svanita, altre volte persone che semplicemente non riescono a digerire alcuni aspetti dell’epoca in cui vivono, oppure una specie di mitomani un po’ rancorosi, che non hanno tuttavia necessariamente quelle prerogative caratteriali e morali che contraddistinguono invece i fascisti in senso esteso. Questi, pur identificandosi talora con i fascisti in senso proprio, sono reperibili in tutti gli schieramenti ideologici e politici, persino tra coloro che si autoproclamano antifascisti.
Del resto, qualsiasi autoproclamazione può sollevare legittime perplessità. Così come non possiamo fidarci a priori di chi si autoproclama intelligente, o buono, o onesto, ed anzi quest’atteggiamento può indurci a una certa fondata diffidenza, per le stesse ragioni non possiamo fidarci di chi si autoproclama fascista o antifascista. Così come chi si proclama fascista potrebbe infatti esserlo in uno dei due sensi, ma non nell’altro, perché ci sono fascisti in senso proprio che non lo sono tuttavia in senso esteso, e viceversa; allo stesso modo non è infrequente imbattersi in antifascisti in senso proprio che non lo sono tuttavia in senso esteso, o viceversa, anche se quest’ultimo caso è decisamente più raro.
Quando Mino Maccari disse al suo amico Ennio Flaiano la famosa frase: “i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”, utilizzò la prima ricorrenza del termine fascisti in senso esteso, e la seconda, accoppiandola con gli antifascisti, in senso proprio. Il paradosso apparente che ne scaturì doveva probabilmente alludere all’irrilevanza di simili autoproclamazioni. Flaiano, per non averla mai rinnegata, quella frase finì poi per vedersela attribuita, e dato che ne condivideva il senso, oltre ad apprezzarne l’effetto umoristico, non risulta che la cosa gli sia mai dispiaciuta.
Proprio da questa circostanza si può evincere che per Flaiano ci fossero dei fascisti in senso esteso anche tra gli antifascisti in senso proprio, ma questo non implicò, da parte sua, alcun più mite giudizio sul fascismo stesso: semplicemente, per lui, come per Maccari, esisteva un’estesa accezione del termine dalla quale nessuno poteva ritenersi a priori immune. Di certo, Flaiano non formulò sul fascismo giudizi indulgenti, e molti di questi sono riferibili a entrambe le accezioni: pensava infatti che il fascismo convenisse agli italiani perché “è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto ad indicare negli ‘altri’ le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell'arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d'altronde non rispetta lui. Non ama l'amore, ma il possesso Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuol essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri”.
Comunque, a prescindere dalla valutazione di Flaiano, di certo oggi i comportamenti fascisti in senso esteso sembrano aumentare a vista d’occhio, probabilmente con progressione geometrica. Diversi modelli culturali solo apparentemente innocui sembrano infatti incrementarne la produzione. Anche quelli in senso proprio aumentano, e in una misura che, sebbene di gran lunga inferiore, è pur sempre direttamente proporzionale all’incremento dei primi. In genere, i fascisti in senso proprio si raggruppano in partitini o associazioni che sono destinati a rimanere entro ambiti assai circoscritti se gli altri partiti o movimenti non commettono macroscopici errori atti a incentivare la produzione di fascisti in senso esteso.
Viceversa, quando questi macroscopici errori vengono commessi, anche i fascisti in senso proprio possono tornare a far sentire i loro lugubri versi. Ma se negli ultimi tempi li si è potuti udire con maggiore frequenza, la prima causa di ciò dovrebbe innanzitutto essere cercata nell’accresciuto numero dei fascisti in senso esteso, dato che sono questi a fornire anche all’altra tipologia nuove schiere di adepti. Tale causa, d’altro canto, non può non dipendere anche dall’operato di tutte quelle forze politiche e di quegli apparati educativi e culturali che da anni trascurano di prevenire la genesi dei comportamenti estesamente fascisti e la diffusione dei modelli culturali cui s’ispirano, e ciò semplicemente perché, essendo celati in abitudini e connivenze consuete, sarebbe decisamente impopolare il farlo.
Una simile prevenzione non sarebbe, se qualcuno volesse mai intraprenderla, un’impresa impossibile, e nemmeno particolarmente difficile: in fondo, basterebbe credere più schiettamente nei valori liberali, a iniziare da chi ha responsabilità di governo, per essere tutti più rispettosi di chi ha opinioni diverse dalle nostre, almeno quando le argomenta in buona fede, e per cercare di rispondere nel merito invece di passare subito alle offese. Il passo dalle offese alle minacce, e poi magari alle vie di fatto, si sa, è breve; e quindi risultano poco credibili il rammarico o la costernazione di quei politici che ritrovano amplificata nella società o nei social network l’eco dei loro comportamenti o delle loro esternazioni. Un richiamo ai principi fondamentali del liberalismo potrebbe dunque essere un buon punto di partenza per andare oltre questa falsa costernazione e per iniziare a ridimensionare rapidamente il numero dei fascisti in senso esteso, e dunque, subito dopo e di riflesso, anche quello dei fascisti in senso proprio.