Costituzione tace, Costituzione acconsente
La nostra Costituzione non pone limiti alle rielezioni dei Presidenti della Repubblica. Tuttavia la discussione che si svolse all'interno dell'Assemblea Costituente intorno a questo tema fu incline a considerare sette anni come un limite massimo per ciascun mandato. Ci fu chi ne propose sei, cinque o addirittura quattro, ma poi si preferì un periodo più lungo, facendo attenzione a sfalsare bene quello di presidenza rispetto a quello della legislatura.
Tra le preoccupazioni che percorsero i padri costituenti durante la sua discussione ci fu anche quella di distinguere bene la nostra Repubblica da una monarchia e renderla più simile possibile a quella americana, che limitava in modo esplicito il periodo di tempo in cui una stessa persona poteva svolgere la funzione di presidente. Ma nonostante le intenzioni e le premure che traspaiono dal dibattito in aula e nelle commissioni il Presidente della Repubblica è oggi virtualmente rieleggibile un numero indefinito di volte.
Come si è arrivati a questa soluzione? Vediamo più in dettaglio come andarono le cose durante i lavori dell'Assemblea Costituente. Dopo una lunga discussione Egidio Tosato, deputato Dc e relatore dell'articolo 81, riepiloga la situazione dicendo che si tratta di un punto lungamente dibattuto e che ha fatto registrare pareri discordanti: "secondo alcuni, la durata della carica dovrebbe essere di sei anni, secondo altri si dovrebbe precisare che il Presidente è eletto per sei anni e non è rieleggibile; altri ancora preferirebbero specificare che è eletto per sei anni e non è rieleggibile che una sola volta". Infine, per quanto lo riguarda, Tosato preferirebbe dire semplicemente "che è eletto per sette anni, ritenendo che non sia opportuno escludere la possibilità della rielezione, soprattutto data la situazione politica attuale di penuria di uomini politici, dopo venti anni di carenza di vita politica. D'altra parte, l'affermazione che non è rieleggibile potrebbe anche essere interpretata, per quanto indirettamente, in un senso poco favorevole per l'attuale Capo provvisorio dello Stato".
Ma prima ancora del tema della rieleggibilità, la discussione riguardò a lungo quello della durata del mandato e alcuni si spinsero a proporre addirittura una durata di quattro anni, come ad esempio l'onorevole Francesco Saverio Nitti. La sua proposta non trovò d'accordo l'onorevole Antonio Costantini, del partito socialista, secondo il quale non sussisteva il pericolo di perpetuare, come sosteneva l'onorevole Nitti, "la tendenza al potere del Presidente eletto". Costantini proponeva dunque che fosse "mantenuto il termine proposto dalla Commissione" anche per ragioni pratiche: in effetti – disse - noi abbiamo stabilito che il Senato dura in funzione sei anni. Sarebbe strano che la stessa Camera, cioè gli stessi deputati e gli stessi senatori venissero convocati ogni quattro anni per ripetere la nomina del Presidente della Repubblica. Se il Senato dura sei anni, è logico che la nomina del Presidente, avvenga ogni sette anni, perché in tal caso avremo differenti Assemblee che provvederanno alla designazione".
Durante il prosieguo del dibattito Giulio Bordon, del Fronte Democratico Progressista Repubblicano, propose invece di ridurre la durata in carica da sette a cinque anni ed Emilio Lussu, del Partito d'Azione, si dichiarò d'accordo con lui. Alla fine però, nonostante questa varietà di posizioni, si optò per il settennato. Per quanto concerne invece la questione della rieleggibilità l'onorevole Umberto Terracini, Presidente dell'assemblea, suggerì di lasciarla impregiudicata, rimettendola "alla completa discrezionalità del corpo elettorale", mentre Edgardo Lami Starnuti, un altro deputato del partito socialista, propose la formula "è eletto per sette anni e non è rieleggibile", ad impedire che si aprisse la via ad una politica a carattere personale del Presidente.
Ad ogni modo, il 19 dicembre 1946 la prima Sezione della seconda sottocommissione della commissione per la Costituzione approva il seguente articolo: "Durata: — Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni e non è rieleggibile"; ma il testo definitivo del Progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione sarà il seguente: "Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni".
Così, il 22 ottobre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente approva, nella sua formulazione completa, il seguente articolo 81: "Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente dell'Assemblea Nazionale convoca l'Assemblea per l'elezione del Presidente della Repubblica. Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro quindici giorni dalla costituzione delle nuove Camere. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica".
L'articolo verrà poi numerato come articolo 85 e alla fine, per la parte che qui ci interessa, reciterà proprio così: "Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni", e poiché ubi lex voluit dixit la Costituzione italiana non prevede un limite al numero di mandati per quanto concerne la carica di Presidente della Repubblica, con la conseguenza che, in pratica, ognuno è virtualmente rieleggibile a vita.
In quali altri paesi può accadere qualcosa del genere? L'assemblea nazionale del popolo cinese ha soppresso il limite di due mandati per il Presidente della Repubblica. Questa decisione permetterà a Xi Jinping di restare in carica anche oltre il 2023, e quindi per oltre dieci anni. In Russia, Vladimir Putin dopo due mandati come Presidente ha lasciato questo ruolo a un suo luogotenente di fiducia, passando a occupare il ruolo di Primo ministro, per poi essere di nuovo rieletto Capo dello Stato, ruolo che occupa ancora oggi stabilmente.
Le cose vanno diversamente nelle principali repubbliche democratiche occidentali. Il Presidente degli Stati Uniti non può essere eletto più di due volte e resta in carica quattro anni, mentre il Presidente della Repubblica francese ha un mandato di cinque anni e non può essere eletto più di due volte consecutivamente. Può ricandidarsi una terza e quarta volta, ma solo se non si ripresenta per un turno dopo la seconda. Anche in Germania il Presidente della Repubblica può essere rieletto due volte consecutivamente, ma più di due volte solo se la terza non è di seguito alle prime due.
Ciò che la nostra Costituzione di fatto consente è dunque più simile, almeno per quest'aspetto, a quanto accade in paesi autocratici e non democratici come Russia e Cina che non a quanto accade nelle principali repubbliche democratiche occidentali, e forse non è un bell'indizio, né di buon auspicio. Anche alla luce dei motivi che determinarono la formulazione finale dell'articolo - come la penuria di candidati o il desiderio di non precludere la possibilità di essere rieletto al Presidente Enrico De Nicola, che altrimenti sarebbe rimasto in carica solo per un anno e mezzo - forse non sarebbe inopportuno integrarlo in modo più consono sia ai principi cui la Costituzione s'ispira sia alle preoccupazioni e alle riserve che da più parti furono sollevate durante la sua discussione nel corso dei lavori dell'Assemblea Costituente.
La questione è tanto più urgente anche perché, in occasione della rielezione di Sergio Mattarella, l'argomento dell'opportunità politica è stato usato in maniera piuttosto fluttuante e strumentale. Non si può non ricordare come si è giunti a tale rielezione: due giorni prima alcune forze politiche, nella loro interezza o in parte, si erano infatti opposte alla candidatura di Elisabetta Belloni in base all'argomento, sollevato per primo da Matteo Renzi in diretta TV, che chi ha diretto il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza - che è presieduto, dal 13 febbraio 2021, da Mario Draghi, il quale ha a sua volta nominato la Belloni nel ruolo attuale – non è "opportuno" che faccia il Presidente della Repubblica.
Quest'argomento è stato poi criticato da diversi politici e costituzionalisti, e in effetti non si capisce perché la candidatura alla massima carica dello Stato di chi ha ricoperto un simile ruolo debba essere ritenuta "inopportuna": se una persona fosse inaffidabile dopo un tale passaggio, lo sarebbe infatti sicuramente stata anche nel ruolo precedente. In realtà, se è vero che ubi lex voluit dixit, la Costituzione non dice da nessuna parte che sia "inopportuna", e stabilisce piuttosto, all'articolo 84, che "può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici" e che "l'ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica". Le riserve avanzate dallo schieramento trasversale e filogovernativo che si è opposto all'elezione di Elisabetta Belloni e che poi ha puntato alla rielezione di Mattarella risultano quindi per lo più pretestuose e strumentali.
Anche alla luce di come si è giunti a questa rielezione di Sergio Mattarella, alcuni osservatori sono tornati a prefigurare il passaggio da una Repubblica parlamentare ad una semipresidenziale o presidenziale. Qualche giorno fa, durante la trasmissione L'aria che tira, su questo tema Francesco Magnani ha posto una domanda precisa a Michele Ainis: "è il momento di imprimere una svolta semipresidenzialista all’Italia"? La risposta del costituzionalista mette in luce le riserve che una simile prospettiva dovrebbe sollevare: “Credo di no francamente, non perché il presidenzialismo sia un sistema anti-democratico, anzi ce l’hanno paesi con un’antica democrazia come gli Stati Uniti d’America e con una variante semipresidenzialista la Francia. Ma perché quei paesi hanno delle regole precise, noi abbiamo avuto 20 anni di dittatura… Per fare il presidenzialismo ci sarebbe bisogno di meditare bene sugli anticorpi e sui contropoteri, perché quando un potere cresce ne deve trovare altri che possono fronteggiarlo, altrimenti diventa tiranno”.
Ma forse, prima ancora di progettare gli anticorpi e i contropoteri per un eventuale Presidente in una repubblica presidenziale, forse imminente ma ancora da varare, sarebbe il caso di definire un limite alla rieleggibilità del Presidente di quella parlamentare attuale, coerentemente con quanto diversi padri costituenti avevano a suo tempo ritenuto fosse giusto e saggio fare per evitare che la nostra repubblica democratica assomigliasse troppo a una monarchia.