La sconfitta pilotata dell'Ucraina e la linea rossa di Putin
In questi giorni molte città ucraine sono di nuovo sotto il fuoco dei missili e delle bombe di Mosca. Questa strage di civili, che non risparmia nemmeno i soccorritori, continua da oltre due anni, ma a differenza di quanto succedeva nei primi mesi successivi all’invasione russa oggi l’Ucraina disporrebbe delle armi idonee per colpire le postazioni da cui partono quei missili. Se non lo fa, è perché i suoi alleati occidentali hanno posto un limite all’utilizzo di quelle armi, vietandone l’uso oltre una certa distanza dal confine. Il Cremlino ha cosi spostato tutte le sue basi missilistiche dove non possono essere colpite, pur potendo invece continuare a colpire i civili ucraini e le infrastrutture energetiche vitali nel territorio invaso.
Questo veto degli alleati mirava probabilmente fin dall’inizio a non superare la linea rossa tracciata da Putin, per il quale non è accettabile qualsiasi esito del conflitto che non possa presentare al popolo russo come una vittoria. Il dittatore del Cremlino cerca infatti d’indurre l’Ucraina a una resa sostanziale pur sapendo che questo comporterà per la Russia dei costi enormi a livello economico e geopolitico. L’occidente, d’altro canto, ha accettato di rispettare questa linea rossa per non testare l’autenticità del ricatto nucleare messo in campo da Putin, confidando a sua volta di poter trarre comunque dalla situazione dei vantaggi consistenti, che in effetti sono stati puntualmente raggiunti: una minore dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia, un logoramento economico e militare di quest’ultima, la possibilità di saggiarne l’efficienza nell’uso di armi convenzionali e, soprattutto, l’allargamento della NATO con l’ingresso della Svezia e della Finlandia.
D’altra parte anche Putin, nonostante tutti questi effetti controproducenti e autolesivi della sua “operazione speciale”, ha ottenuto qualcosa di significativo: si è impadronito di un territorio piuttosto vasto e ricco di risorse minerarie, ha rafforzato la sua alleanza strategica con la Cina, tanto da procedere a importanti esercitazioni militari comuni, ha ricevuto la richiesta della Turchia di entrare nei Brics e, nel frattempo, ha consolidato la sua alleanza anti-occidentale con l’Iran, Hamas e l’islamismo sciita (e talora anche sunnita) consolidando le sue posizioni in tutta l’area mediorientale e nel Nord-Africa. Inoltre, grazie al suo efficiente servizio di disinformazione in tutti i principali social e media occidentali sta riuscendo a creare in qualche paese, come per esempio l’Italia, un fronte interno filorusso in grado di condizionare la formazione di qualsiasi governo futuro e di incidere attivamente anche sulla politica estera di quello attuale.
Ciò nonostante, la Russia appare oggi assai più debole rispetto al Febbraio del 2022 e la situazione in cui versano la sua economia e le sue risorse militari convenzionali potrebbe prefigurare una sconfitta di Putin se questi non fosse in condizione di far ancora rispettare quella linea rossa che l’occidente non ha mai accennato a voler oltrepassare. Ormai, i vantaggi geopolitici, economici e militari che gli alleati dell’Ucraina potevano acquisire grazie a questo conflitto sono stati in buona parte conseguiti e per evitare che Putin possa essere indotto ad innalzare il livello dello scontro non resta che consentirgli di portare a termine la sua operazione speciale con delle significative conquiste territoriali. In questo modo potrà presentarsi come vincitore al suo popolo, che riesce ormai a controllare in modo non meno efficiente di come era controllato nell’era sovietica, e così rafforzare politicamente il suo regime, anche grazie alla probabile corsa di molti paesi occidentali a ristabilire quanto prima con la Russia buone relazioni economiche e commerciali dopo un “onorevole”, almeno agli occhi della loro opinione pubblica, trattato di pace.
In questo scenario, i nodi da sciogliere sono essenzialmente due: quanto territorio verrà sottratto all’Ucraina? E a ciò che ne resterà sarà consentito di aderire all’Unione europea e alla Nato? Sul primo punto è difficile fare previsioni, anche se si andrà presumibilmente verso un ragionevole compromesso tra le posizioni attuali sul campo e quelle ante invasione del 2022; mentre per quanto riguarda le due eventuali adesioni, se la prima di queste, seppur non scontata, appare oggi molto probabile, la seconda non lo è affatto. Qualora non dovesse verificarsi, Putin avrebbe ottenuto una vittoria sul campo in grado di rafforzare il suo potere mentre l’Occidente e la Nato avrebbero comunque conseguito cospicui vantaggi di ordine strategico-militare. L’Ucraina, invece, avrebbe in sostanza perso il conflitto senza nemmeno aver messo in sicurezza la sua indipendenza futura e pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, di risorse e infrastrutture. È evidente che, in questo caso, data l’impossibilità di conseguire la vittoria combattendo con un simile veto, l’Ucraina sarebbe stata pilotata dai suoi alleati, fin dall’inizio dell’invasione, verso una sconfitta che, seppur contenuta, risulta oggi evidente.
Perché possa invece realizzarsi l’ipotesi alternativa - ovvero che l’Ucraina, anche se con qualche sottrazione territoriale, entri nella NATO - bisognerebbe che l’esito del conflitto sul campo fosse per lei nel complesso più favorevole rispetto a quanto lo è attualmente, così da poter trattare una simile questione da una posizione di forza; ma una simile eventualità può realizzarsi solo superando le restrizioni nell’uso delle armi che le sono state fornite, non certo attraverso la provvisoria occupazione di alcune regioni del sud della Russia, per quanto questa manovra possa aver costituito un utile diversivo. Qualora queste restrizioni non fossero superate l’Ucraina sarebbe invece condannata a una sconfitta sostanziale, sconfitta che risulterebbe fin dall’inizio pilotata dai suoi alleati. Il non avergli consentito di utilizzare fino ad oggi a sua discrezione le armi che le erano state fornite è costato infatti, oltre che la vita di migliaia di civili innocenti, anche quella di molti soldati impegnati in un’eroica difesa del proprio paese, e dato il numero nettamente inferiore di combattenti di cui l’Ucraina dispone la loro morte non è priva di conseguenza sul piano militare.
Ma non solo: la scelta di non superare la linea rossa tracciata da Putin sta esponendo anche l’Europa e tutto l’occidente democratico al rischio di far sentire Putin nei prossimi anni ancora più forte. Consapevole che il suo ricatto è stato efficace e può esserlo ancora, una volta ricostruito il suo esercito potrà infatti continuare a minacciare, ricattare e attaccare l’Europa, iniziando magari dai Paesi baltici o dalla Moldavia, sapendo di poter accrescere o comunque conservare il suo potere.
La scelta da parte dell’occidente di non superare quella linea rossa non solo ha avuto e ha tutt’ora costi umani terribili per il popolo ucraino, ma non ci metterà in una situazione di maggior sicurezza rispetto al rischio di un conflitto nucleare. Se la linea rossa è stata fino ad oggi rispettata, vuol dire che il ricatto nucleare di Putin è stato ritenuto verosimile, ma se è stato ritenuto verosimile fino ad oggi non si vede perché non dovrebbe esserlo domani, quando il dittatore del Cremlino avrà ulteriormente perfezionato e reso più efficiente il suo arsenale e le sue forze armate. Se un rischio di questo tipo sussiste, forse sarebbe più responsabile e prudente correrlo subito, in un momento di chiara difficoltà per la Russia. Farlo dopo non aver impedito, pur potendolo fare, la morte di altre migliaia di persone che hanno combattuto e continuano a combattere per la libertà e l’indipendenza del loro paese non potrebbe infatti che mettere ancora più a rischio la sicurezza dell’Europa e di tutta la civiltà democratica occidentale.