L'anima di un viaggiatore solitario

   I saggi raccolti ne Il diritto e il rovescio sono stati scritti nel 1935 e nel 1936, quando Albert Camus aveva 22 anni. Secondo Brice Perain questo libro contiene quello che lo scrittore franco-algerino ha prodotto di meglio e Camus pensa che contenga più amore di qualsiasi altro suo scritto. Si tratta di cinque brevi racconti, intensi ed esemplari, privi di qualsiasi orpello letterario. Anche la prefazione dell’autore costituisce una sorta di confessione purissima ed essenziale, dalla quale traspare che il loro autore davvero non invidia nulla ed è capace d’ignorare le invidie degli altri.

   Camus dichiara di aver conosciuto la paura e lo sconforto, ma mai l’amarezza. Fin da giovane ha sempre cercato di rispettare una sua massima personale secondo la quale “i propri principi occorre metterli nelle grandi cose”, mentre “per le piccole è sufficiente la misericordia”. Un lieve distacco dagli interessi umani lo ha sempre tenuto lontano dal risentimento. Come artista, ha cominciato a vivere nell’ammirazione, mentre già al tempo dei suoi esordi era un costume diffuso iniziare la carriera demolendo qualche altro scrittore. Le sue passioni non sono invece mai state contro qualcuno e ha a sempre amato le persone che avvertiva come migliori di lui.

   Nella prefazione a questa silloge, Camus racconta anche che la sua ispirazione nasceva in quegli istanti esclusivi in cui l’immaginazione faceva tutt’uno con l’intelligenza, istanti che poi se ne andavano lasciando il campo alla lunga sofferenza dell’esecuzione. In un’atmosfera narrativa in cui la solitudine di ognuno sembra accomunare ciò che la società separa, la stessa solitudine finisce coll’assumere le sembianze di un paradiso, che si rivela però attraverso la disperazione. “Non c’è amore di vivere senza disperazione” – scrive Camus in queste pagine – e al tempo della loro stesura non sapeva ancora a che punto stesse dicendo il vero. Quando giunsero i tempi della disperazione rischiarono di distruggere in lui tutto, “tranne per l’appunto la fame disordinata di vivere”, perché la sua anima assomigliava a “un fuoco che soffre se non divampa”.

 

   Ognuno cerca sulla terra le sue verità per giungere infine al traguardo dove anche la morte può farsi annunciare da un silenzio felice che assomiglia molto agli iniziatici stupori della nostra infanzia. L’arte può insegnarci a riconoscerli, perché “l’opera di un uomo altro non è che il lungo cammino per ritrovare le due o tre immagini semplici e grandi sulle quali il cuore una prima volta si è aperto”.

   Di simili immagini la vecchia protagonista de L’ironia avvertiva forse il tenue riflesso nelle lunghe ore d’insonnia, nei deludenti faccia a faccia con Dio. Quando una vecchia viene abbandonata da chi le sta abitualmente vicino per andare al cinema, quando nessuno ascolta più un vecchio, dall’altra parte della loro vita brilla la luce d’una solitudine assoluta e allora sanno che in fondo il sole scalderà sempre le loro ossa, lo stesso sole che gli bruciava generosamente i volti e i corpi nelle prime estati della loro giovinezza.

   Ne Fra il sì e il no, seduto al tavolino di un caffè moresco il narratore ripensa alla madre dura e silenziosa e ricorda cose che da ragazzino gli avevano detto: che vivere è difficile, e che “l’errore peggiore è ancora quello di far soffrire”. In un’ora triste della sera, con un cielo senza luce, c’è un desiderio vago nell’aria che può indurlo ad amare “la curva di un gesto o l’opportunità di un albero nel paesaggio”. Per ritrovare tutto l’amore che abbiamo distrattamente perduto disponiamo infatti di pochi dettagli, come “l’odore di una stanza rimasta per troppo tempo chiusa” o “il suono singolare di un passo per strada”. È proprio attraverso simili dettagli che si può scoprire che “solo l’amore ci restituisce a noi stessi” e incominciare così a sentire molte cose, fino ad accorgersi della propria esistenza.

   Ne La morte dell’anima a Praga, verso sera, il velo delle abitudini, la trama rassicurante dei gesti e delle parole dove si assopisce il cuore mostra il suo lato inquieto. Quando si è faccia a faccia con se stessi può capitare di sfidarsi a essere felici. Allora nasce un disaccordo profondo tra sé e le cose e in quel cuore meno saldo “entra più facilmente la musica del mondo”. Ma siamo all’interno di un viaggio verso l’Italia e una volta via da Praga, dove soffocava tra i muri, il protagonista si trova sul treno che da Vienna porta a Venezia, e poi a Vicenza, dove tra colline rasate e crostose di terra bruciata sente affiorare il gusto del nulla che ha dentro, insieme alla sua angoscia segreta e al suo amore per la luce e per la vita. Proprio tra queste colline e il mare comincia ad avvertire ancora più distintamente il suo amore per il mediterraneo, metafora di luce e di un mondo familiare, di un’esistenza aperta e finita, di un calore senza tempo e del vento che accompagna ogni autentico viaggio.

   Dall’Amore di vivere che il Mediterraneo gli ispira trae il titolo l’ultimo breve racconto: anche qui siamo di notte, nel quartiere dei cafés chantans di Palma di Maiorca, dietro il mercato. In uno di questi locali una donna giovane, alta ed enorme, si erge all’improvviso davanti ai suoi occhi; un ammasso di carne che canta canzoni andaluse mimando l’amore con tutto il corpo: “in mezzo alla gioia fremente che la circondava, era l’immagine ignobile ed esaltante della vita, con la disperazione dei suoi occhi vuoti e il sudore denso del ventre”.

   Del resto, senza i caffè e i giornali sarebbe difficile viaggiare, perché i viaggi tendono a toglierci ogni rifugio. Privati della nostra lingua e delle nostre maschere vaghiamo dapprima sulla superficie di noi stessi fino a quando, con l’anima in pena, non ci sorprendiamo a restituire “a ogni essere umano, a ogni oggetto il suo valore di miracolo. Una donna che balla senza pensare, una bottiglia su un tavolo intravista dietro una tenda: ogni immagine diventa un simbolo. In essa pare rispecchiarsi la vita intera”.

   Grazie ai viaggi si può così divenire lucidi e sorridenti spettatori dinanzi al gioco delle apparenze, a nostra volta personaggi appena intravisti in una piazza o in un lembo di strada. Nei paesaggi schiacciati dal sole le domande abituali risuonano a poco a poco come inutili e si può avere voglia di amare o all’improvviso di piangere, tanto che ogni ora di sonno può sembrare arbitrariamente sottratta alla vita.  Ci si può sentire come un nulla avvolgente, come una brezza leggera, o come un’ombra lunare dotata di un alone indefinito, capace di rendere ogni trasfigurazione possibile e ogni sogno certezza. E nella più completa solitudine, non c’è più un attimo in cui si sia davvero soli.

 

Albert Camus, Il diritto e il rovescio, traduzione di Yasmina Melaouah, Bompiani, 2018, pp. 75.