Christian Bobin, la pioggia e la musica di Mozart
Lo scrittore francese Christian Bobin è venuto a mancare da poco più di un mese, esattamente il 24 novembre 2022. Era nato a Creusot, in Borgogna, il 24 Aprile 1951 e lì, nella sua casa di campagna, ha trascorso tutta la sua vita. Ci piace ricordarne qui l’opera parlando di un suo piccolo libro che trova in Mozart e nella pioggia il proprio saliente pretesto, l’occasione preziosa colta dall’autore per raccontare al lettore anche il proprio rapporto con la letteratura.
Quasi tutti i libri di Bobin sono “piccoli”, forse perché tutta la sua opera è attraversata da un desiderio di semplicità e di chiarezza, ovvero del tratto principale della musica di Mozart, le cui grandi arie fanno luccicare le note come le foglie di un albero “sotto la benedizione di una pioggia d’estate”. Quello della chiarezza è infatti per Bobin “il più bel dono che possiamo ricevere in questa vita tenebrosa”, ma non si tratta di un dono innocuo, perché talvolta può trafiggerci come un dardo fatale, può illuminarci o ferirci con la stessa disinvoltura, probabilmente perché tutto ciò che ci parla in modo chiaro della vita è anche un’agnizione della morte.
Il desiderio di chiarezza evoca quello della leggerezza, e non per caso: “solo la leggerezza della vita può cacciare l’insondabile malinconia”. Nella leggerezza infatti si nasconde la verità, e “la verità è ciò che risuona chiaro e puro”: il desiderio che ne ispira la ricerca, o che induce ad abbandonarsi al suo moto, rivela un sentimento di gratitudine verso la propria stessa esistenza e il proprio destino.
Anche la letteratura può aspirare, più meno esplicitamente, a realizzare un simile desiderio di chiarezza e leggerezza, perché anche lo scrivere è un modo di rispondere alla vita: abbiamo infatti “sempre bisogno di rispondere a un dono con un altro dono, non per sdebitarci, ma per continuare a donare e ricevere, senza fine”.
Leggerezza, chiarezza e gratitudine sono le note dominanti dell’infanzia, naturali antidoti al dolore di vivere. C’è infatti per Bobin “molta sofferenza nel mondo e c’è, in quantità uguale, molta infanzia. Queste due materie si fondono in una sola”, di cui non si possono prestabilire le forme, che mutano incessantemente aspetto. Questa materia fusa, questo magma d’infanzia e dolore, sa creare sempre nuove occasioni per amare, nuovi pretesti per scomparire nel proprio sguardo, per sedimentare in altre esistenze, perché “non siamo padroni dei nostri modi di amare. S’inventano molto spesso e non si spostano più. Il mio modo di amare – scrive Bobin - è lasciar andare, lasciar essere”.
Questo “lasciar andare, lasciar essere”, così evocativo di filosofie orientali ma anche essenzialmente cristiano, intrattiene con il reale un rapporto peculiare: per un verso lo ama, per altro verso lo sfiora e sorvola. Il reale, con il suo potere di diniego, nulla può opporre a questo “lasciar andare, lasciar essere”, che pare volerlo assecondare, pienamente accettare, gioiosamente condividere. “Ho per il reale – scrive Bobin - un’amicizia furtiva. Vedo bene solo di sfuggita. Che ci siano, in questo istante in cui scrivo, due persone che si amano in una stanza, due note che chiacchierano ridendo, è abbastanza per rendermi la terra abitabile”.
Un vetro lo separa dal mondo, e scrivere è per lui “un modo di attraversarlo senza infrangerlo”. Ma per riuscirvi è necessario immergersi nel silenzio, creare un’ampia e profonda zona di silenzio in cui la vita abbia spazio e tempo per risuonare. Quel che si dice in lui si confida al silenzio, “non è altro che silenzio. I libri sfiorano questo silenzio. I libri sono quasi interessanti come il silenzio. Scrivere è quasi appassionante come far niente e aspettare le prime gocce di pioggia nei concerti per pianoforte di Mozart”.
La malinconia è lo sfondo in cui la loro musica può risuonare e scintillare: “la malinconia – scrive Bobin - si alza ogni mattino un minuto prima di me. È come qualcuno che mi fa ombra, in piedi fra il giorno e me”. La malinconia può sospendere l’esistenza di chiunque sappia indugiarvi, di chi non ne predisponga forzatamente la rimozione, di ogni percezione di sé introducendola in quell’aura di silenzio in cui anche la musica può risuonare. Può sospenderla fino ad abolire ogni legame e al tempo stesso ogni sentimento d’estraneità: allora si può scoprire di non aver più legami con nessuno e al tempo stesso che nessuno ci è estraneo: “questa esperienza è semplice. Non c’è da volerla. Basta accoglierla quando arriva.” Basta lasciarla arrivare, discendere su di noi, basta aver aperto il grande padiglione del cuore, perché “Dio discende a terra così naturalmente come la musica di Mozart sale al cielo, ma ci manca l’orecchio per sentirlo”.
Come uomo Mozart è morto, ma non come artista. Il suo destino pare divergere in un ossimoro proprio nel momento essenziale: morto e immortale. Il suo corpo fu gettato in una fossa comune e la compassione di Bobin va proprio a Mozart da morto, all’uomo, non all’artista, perché “davanti alla morte non ci sono più artisti”, ma “soltanto bambini spinti nel buio”.
Certo, come artista Mozart continua a vivere, e consentirà comunque a chiunque ascolti la sua musica, anche per pochi istanti, di accedere a quella chiarezza, leggerezza e semplicità che riposano sul fondo della sua anima. In questo senso, rivela di possedere qualche aspetto in comune con l’amore, e anche con la morte, perché “l’amore, come la morte, semplifica. Il vero nome dell’amore è semplicità”, e la semplicità evoca chiarezza, ha bisogno di chiarezza, e la diffonde nell’aria. Quando si ama ci si sente semplificati come quando si ascolta la musica di Mozart e Bobin riconosce “l’amore in questa sensazione di essere, davanti a lui, semplificato. Anche solo per qualche istante semplificato. Non provo nient’altro – aggiunge - davanti a Mozart, davanti alla musica. A volte il gusto della vita si fa puro come una frase di Mozart”.
E questo è anche il grande vantaggio della musica sulla letteratura, perché rivela, rispetto a quest’ultima, la sua maggiore prossimità a quella sospensione di sé da cui procede il silenzio e da cui passa l’amore. “Parlare, prima o poi, è fare il furbo. Scrivere, prima o poi, è fare il furbo. Prima o poi. Inevitabilmente. Irresistibilmente. Solo il silenzio è senza malizia. Il silenzio è amore, e quando non lo è, è più miserabile del rumore”. Se per un verso “scrivere è resuscitare” - come recita il titolo dell’intervista di Daniel Zappalà a Bobin che completa il volume - lo è tanto di più quando assomiglia al dialogo che la musica sa instaurare col silenzio, perché il silenzio è il luogo elettivo in cui la morte dialoga con la vita. La musica dirige e conduce questo dialogo, gli dona i suoi ritmi e ne coglie le segrete melodie, trasforma il loro ascolto silenzioso sul fondo dell’anima in arie e temi che si succedono con un incedere allegro o maestoso, malinconico o divertito, perché il segreto dialogo della vita con la morte può avere esiti imprevedibili e mirabili, che solo talora la letteratura riesce a restituirci quasi intatti.
Christian Bobin, Mozart e la pioggia, Animamundi Edizioni.