La scienza spiegata dalla sua storia
La rivoluzione dimenticata di Lucio Russo fu pubblicata per la prima volta nel 1996. L’ultima edizione, la dodicesima, è del 2021. Da allora, il quadro delle conoscenze sul pensiero scientifico ellenistico, che costituisce l’argomento principale del saggio, è notevolmente cambiato. La nuova edizione del libro di Russo, tenendo conto di queste nuove acquisizioni e di alcuni nuovi lavori specialistici, costituisce una revisione di cui alcune congetture dell’autore che si sono poi trasformate in tesi ampiamente documentate.
L’utilità del termine “scienza” consiste per Russo nel consentire di distinguere la stessa conoscenza scientifica da altri tipi di conoscenza. Ma quali sono le caratteristiche essenziali della conoscenza scientifica? Intanto, le sue affermazioni “non riguardano oggetti concreti, ma enti teorici specifici. Alcuni esempi di enti teorici sono gli angoli e i segmenti della geometria o la temperatura e l’entropia della termodinamica”.
In secondo luogo, “una teoria scientifica ha una struttura rigorosamente deduttiva; è costituita cioè da pochi enunciati fondamentali (detti assiomi, postulati o principi) sui propri enti caratteristici e da tutte le affermazioni che si possono considerare come loro conseguenze”.
In terzo luogo, “le applicazioni al mondo reale sono basate su regole di corrispondenza tra gli enti della teoria e gli oggetti concreti. Le regole di corrispondenza, a differenza delle affermazioni interne alla teoria, non hanno alcuna garanzia assoluta. Il metodo fondamentale per controllare la validità delle regole di corrispondenza, cioè l’applicabilità della teoria, è il metodo sperimentale”.
Russo considera quindi “scientifica” ogni teoria con le tre caratteristiche appena enumerate, definendo invece “scienza esatta” l’insieme delle teorie scientifiche, le quali, pur essendo nate per descrivere e spiegare fenomeni naturali, sono divenute col tempo anche modelli di settori di attività tecnologica.
Proprio il legame tra scienza e tecnologia costituisce un tema centrale del libro di Russo, che si occupa prevalentemente di scienza ellenistica, facendo solo qualche riferimento ai suoi precedenti nel periodo classico. Una tesi molto “forte” - tra le molte che vi si possono reperire e senz’altro meritevole di una discussione più ampia di quella che è consentita da una recensione - è che Aristotele “non può usare né il metodo dimostrativo né l’esperimento, giacché non ha, né vuole costruire, una teoria scientifica. Le forze, i tempi e le lunghezze di cui parla non sono infatti enti interni a una teoria, ma sono concepiti come oggetti concreti, dai quali è possibile comprendere le necessarie relazioni reciproche attraverso la speculazione filosofica”. Questo confronto tra il pensiero filosofico dell’età classica, e di Aristotele in particolare, con la scienza ellenistica e con quella moderna non costituisce comunque uno dei temi che il libro di Russo si prefigge di affrontare in modo circostanziato.
Uno dei pregiudizi storici che vengono affrontati è costituito dall’idea secondo cui nella matematica greca non si usava il concetto d’infinito. Morris Kline sostiene per esempio che “nella scienza greca il concetto di infinità è poco capito e apertamente evitato”. Ma Russo ricorda che il termine “infinito” non è comunque una novità introdotta dai matematici moderni”, non essendo che la traduzione del termine greco apeiron, già fondamentale nel pensiero di Anassimandro. Anche la teoria eliocentrica, poi affermatasi in età moderna con Copernico e Galileo, fu anticipata da Aristarco di Samo, che fu secondo Johan Dreyer “l’ultimo dei grandi filosofi o astronomi del mondo greco a proporsi seriamente di indagare il vero sistema fisico del mondo”.
Il rapporto col tempo, l’importanza di poterlo misurare con precisione, che tanto rilievo ebbe nello sviluppo della scienza moderna, costituisce un altro contributo importante che l’età ellenistica fornì ai successivi sviluppi della scienza e la tecnica. Per esempio, “i primi veri orologi sorgono ad Alessandra nella prima metà del III secolo a. C., grazie a Ctesibio, che trasformò l’antica clessidra in un vero strumento di misura” e “diversi scienziati progettarono orologi ad acqua. Un modello particolarmente interessante attribuito ad Archimede è descritto in un lavoro anonimo conservato in arabo”.
In campo militare le invenzioni non furono meno rilevanti: Plutarco racconta che Archimede “iniziò il tiro come le sue macchine, scagliando sulle forze terrestri ogni specie di dardi e di macigni […]. Alcune delle navi vennero agganciate con artigli di ferro e mediante un contrappeso sollevate e quindi fatte colare a picco […]. Spesso si vedeva lo spettacolo pauroso di una nave sollevata in aria, fatta oscillare finché tutto l’equipaggio fosse stato scagliato via e scaraventata poi vuota contro le fortificazioni, o fatta ricadere in mare in seguito allo scancio degli artigli”. Ma in età ellenistica s’inventò anche la catapulta a torsione, un’arma da getto basata appunto sull’elasticità della torsione.
Notevoli furono anche le scoperte nell’ambito dell’arte della navigazione. L’incapacità di navigare in mare aperto, attribuita da Eratostene ai Greci più antichi, che si sarebbero così limitati a costeggiare, pare essere contraddetta dall’esistenza di viaggi oceanici. Eudosso di Cizico, per esempio, “aveva navigato più volte tra Egitto e India, seguendo una rotta diretta dal golfo di Aden, e il greco di Marsiglia Pitea, alla fine del IV secolo a. C., aveva compiuto la famosa esplorazione dell’Atlantico del Nord, descrivendo poi le sue scoperte nel libro Sull’oceano.”
Anche la medicina sviluppò in età ellenistica i suoi rapporti con la scienza esatta e grazie alla scuola fondata da Erofilo fece un salto di qualità che preludeva alla medicina moderna. Erofilo pare infatti abbia ammesso “una capacità motoria nei nervi, arterie e muscoli, e ritenne che il polmone avesse una tendenza a dilatarsi e contrarsi, aspirando così lo pneuma. Le descrizioni degli apparati circolatorio e respiratorio appaiono quindi connesse ai contemporanei progressi della nuova scienza pneumatica, un termine che “deriva da pneuma e che ebbe in greco un’estensione semantica molto vasta”, i cui significati iniziali erano quelli di aria, soffio, alito, respiro, spirito.
“Nel linguaggio della scuola stoica – scrive Russo – per pneuma s’intende un mezzo continuo che assicura gli scambi tra le varie parti degli organismi e dell’universo”. Erone, all’inizio della sua Pneumatica, afferma che lo pneuma non è altro che aria in moto, e spiega che “la distribuzione naturale di particelle e vuoto nell’aria può essere alterata in ambedue i sensi con l’applicazione di forze esterne, nonostante l’aria si opponga a tali deformazioni con una reazione elastica.”
Ma il libro di Russo è davvero una miniera d’informazioni sorprendenti per i non addetti ai lavori e di spiegazioni chiare ed esaurienti, di cui sarebbe davvero impossibile tracciare qui anche solo un breve sommario. Basti dire che esso si spinge a trattare anche temi che solitamente non rientrano in trattati di storia della scienza, come ad esempio la teoria dei sogni, soffermandosi per alcune pagine sul libro di Artemidoro di Daldi Dell’interpretazione dei sogni, della seconda metà del II d.C. In quest’opera Artemidoro suddivide i sogni in “contemplatici” e “allegorici”, tra i quali annovera quelli “cosmici”, che secondo Cesare Musatti “si presentano abbastanza spesso anche nella odierna pratica analitica”. Se i “sogni contemplativi” hanno qualche riscontro con ciò che Freud definiva “resti diurni”, i “sogni allegorici” sono quelli in cui le cose vengono rappresentate con altre immagini: “quegli che ama una donna, non vedrà la donna amata, ma un cavallo, o specchio, o nave, o il mare, o altra cosa che donna significa”. Si tratta proprio di ciò che s’intende per simbolismo onirico, che sta a fondamento dalla teoria freudiana.
Non è assolutamente trascurabile inoltre quanto l’autore sostiene nei capitoli conclusivi del suo saggio, là dove nota che dalla diffusione in via approssimativa di teorie connesse alle geometrie non euclidee e alla meccanica quantistica e nell’assenza di rapporti riconosciuti tra la matematica e il mondo concreto si è sviluppata una crisi dei fondamenti che sta avendo conseguenze negative sulla didattica delle scienze. Oggi, come in epoca imperiale, “i concetti teorici, avulsi dalle teorie in cui hanno il proprio significato e considerati oggetti reali la cui esistenza appare solo all’iniziato, vengono usati per stupire e divertire”. Il pubblico viene così assuefatto dai media “a una complessa e misteriosa mitologia, con orbitali che si ibridano tra loro, sfuggenti quark, voraci e inquietanti buchi neri e un Big Bang creatore”. In questo modo si finisce secondo Russo col trasmettere un’idea del metodo scientifico che accetta passivamente le contraddizioni e rinuncia a cercare di fornire spiegazioni razionali della realtà. I propugnatori di questo nuovo irrazionalismo “ostentano particolare disprezzo verso teorie quali la logica classica e la geometria euclidea”, che hanno nella loro struttura razionale quanto viene da tale irrazionalismo individuato come nemico cruciale. Quest’atteggiamento è sempre più diffuso anche tra gli scienziati, tanto che se un tempo “gli scrittori di fantascienza s’ispiravano ai risultati scientifici, oggi lo stesso canale è attivo in senso inverso: molte idee nate nella fantascienza, dal teletrasporto al viaggio nel tempo, sono diventati tema di articoli scientifici, che a loro volta generano libri e film ‘divulgativi’ che hanno sostituito, nel favore del pubblico, la fantascienza classica”.
Oggi – spiega ancora Russo - “la diffusa ignoranza della storia del pensiero e il mito di un progresso continuo consentono di presentare come superiori in quanto nuovi gli argomenti contro il vecchio razionalismo. In realtà non si tratta di argomenti recenti, ma, in buona sostanza, della riproduzione delle stesse polemiche antirazionaliste che avevano accompagnato la fine della scienza antica. Le versioni divulgate al grande pubblico della meccanica quantistica si sono sempre basate sulla scelta di accettare una descrizione contraddittoria della realtà”.
Gli utilizzi commerciali di una cultura scientifica così distorta, insieme ai danni provocati dal ricorso a criteri di valutazione automatica delle pubblicazioni che possano fare punteggio in un curriculum accademico, così come il rapido diffondersi di mode effimere e l’imporsi di un relativismo che tende ad associarsi in modo spesso superficiale e pretestuoso alla teoria della relatività di Einstein stanno contrassegnando il degrado del ruolo sociale della scienza, e ciò nonostante gli efficaci strumenti che la tecnologia informatica sta mettendo a disposizione per una corretta divulgazione. In un simile scenario, sarebbe forse il caso di ricondurre il metodo scientifico nel contesto culturale che lo ha generato, così da rendere tutti consapevoli, anche chi si approccia per la prima volta a problemi complessi, che i concetti che sono emersi e si sono poi imposti per la loro soluzione non sono spuntati miracolosamente da soli in qualche manuale scolastico assertivo e astorico, ma hanno avuto una lunga e faticosa genesi in diversi contesti culturali, scientifici e filosofici.
Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli editore.