Vocazione e apprendistato dei poeti
Friedrich Schiller: Sulla poesia ingenua e sentimentale; "Se" edizioni
Il poeta, o è natura, o vorrà riconciliarsi con la natura; o cercherà di "far felice il proprio oggetto, o d'elevarlo". Nel primo caso abbiamo il poeta ingenuo, nel secondo il sentimentale. "L'ingenuo è una fanciullezza che si manifesta là dove non è più attesa (…), il sentimentale è la capacità d'elevare la realtà all'ideale", ovvero di trovare nell'ideale quell'unità con la natura alla quale il poeta sentimentale non può accedere spontaneamente.
Così, nel saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale (del 1795) Friedrich Schiller puntualizzava due diverse attitudini psicologiche e artistiche, anticipando una tipologizzazione che sarà ripresa e sviluppata, nei due secoli successivi, sia dalle teorie estetiche che da quelle psicologiche. La poesia moderna, dagli Sturmer in poi, è tendenzialmente sentimentale; quella antica prevalentemente ingenua. Alla "disposizione estetica", nella quale, come Schiller fa notare nelle Lettere sull'educazione estetica dell'uomo, "la spontaneità della ragione si manifesta già nel campo della sensualità", si può quindi giungere per due vie diverse e quasi opposte, entrambe non esenti da rischi. Infatti, se nelle opere dei poeti ingenui "si avverte talvolta una mancanza dello spirito, nella produzione del genio sentimentale spesso si cercherà vanamente l'oggetto". Entrambi possono inoltrarsi in un "erroneo cammino, giacché un oggetto senza spirito e un gioco dello spirito senza oggetto sono un nulla nel giudizio estetico".
Il poeta ingenuo rischierà di essere passivamente realista, falsamente decoroso, blandamente imitativo e privo di tensione spirituale; al poeta sentimentale potrà accadere di esaltare a tal punto il proprio oggetto da renderlo irriconoscibile, privo di scansioni interne, indefinito e artificioso. Le loro opere, in questi casi, saranno il frutto di un'esperienza non ricomposta e ancora inconsapevole, viziata da motivi e interessi non estetici.
Tra i poeti sentimentali possiamo collocare Hölderlin e Novalis, ma anche, qualora volessimo estendere un po' arbitrariamente il criterio schilleriano a scrittori di diverso tipo, antecedenti e successivi, potremmo forse annoverare in questo raggruppamento anche Petrarca e Tasso, Dostoevskij e Byron, Proust o Gide. Tra gli ingenui, invece, oltre ad Omero e Virgilio, che ne sono i capostipiti, potremmo forse includere Ariosto e Cervantes, Stendhal e Puskin. Tuttavia, indugiando ancora un po' nel gioco letterario che è possibile e forse divertente imbastire sulla base della categorizzazione di Schiller, risulterebbe forse più arduo collocare autori come Pound o Joyce, o Beckett, Tolstoi o Turghenev.
Dovremmo concluderne che si tratta di una tipologizzazione datata? Forse sì, ma ciò non costituisce in ogni caso una questione essenziale per una valutazione critica del saggio in oggetto, il cui pregio principale non consiste nella eventuale pertinenza di una tale distinzione alla letteratura di ogni tempo, e quindi la sua eventuale validità eterna, ma nella concretezza e nella profondità della sua analisi psicologica e della sua proposta culturale, dalle quali furono molto influenzati, tanto per fare due esempi famosi, sia Goethe che Hegel: il primo, nel Wilhelm Meister, pare infatti voler dare corpo letterario all'idea schilleriana di "poesia ingenua"; il secondo costruisce la sua teoria estetica, nonché la sua polemica antiromantica, partendo in buona parte proprio da queste riflessioni di Schiller.
Friedrich Schiller: Sulla poesia ingenua e sentimentale; "Se" edizioni.