Ribelli e mancati
Il tempo degli assassini. Un saggio su Rimbaud di Henry Miller.
“Rimbaud rappresenta tutti i crimini e i moti della pubertà” - scriveva Paul Valéry nei suoi Cahiers: “atti solitari, notti impossibili, cattiva coscienza anche in un angelo sapientissimo, intensa commedia intellettuale, tensione degli estremi nutriti da lunga inazione”. Ma proprio il coltivare questa cattiva coscienza e l’esasperare tale “commedia” comportò, secondo alcuni insigni critici, il principale limite della sua opera poetica: una certa involuta ricercatezza letteraria saldata a un forzoso vitalismo. Basti citare a proposito il giudizio di Croce, secondo il quale Rimbaud tentò, “mercé la vita lazzaronesca o bohemienne”, di accumulare materiali atti ad “eccitare artificiosamente una impossibile poesia”.
Pur divergendo nelle valutazioni, Valéry e Croce concordano sul nesso provocatorio che sussiste tra la vita di Rimbaud e la sua poesia. Entrambi non soffermano però abbastanza la loro attenzione sul fatto che il poeta francese dette inizio alle proprie scorribande nell’esistenza al termine della sua stagione poetica, quando la sua ispirazione lirica si era consumata e nel tentativo di prolungarne la lucidità estenuante egli cercò di commisurarvi la propria vita a venire.
Nel suo saggio Miller scandisce gli episodi salienti che avvicinarono entrambi alla letteratura: una madre implacabile e infelice, una ragazza dagli occhi violetti, una noia inguaribile che, a volte, si trasformava in un’acuta sensazione di vuoto allo stomaco. Questi episodi non sono però sufficienti a spiegare la sua adorazione per lo scrittore che, fatta forse eccezione per Dostoevskij, è quello da lui in assoluto più amato. - “Sarà forse perché il suo fallimento è così istruttivo” ? – si chiede Miller – “o forse perché ha saputo resistere fino all’estremo? Lo ammetto - conclude -: io amo tutti gli uomini che vengono detti ribelli e mancati”, e sebbene “non voglia darmi ad intendere che egli sia grande come altri scrittori che potrei nominare, c’è in lui qualcosa che mi tocca come nessun’altra opera d’uomo. Nulla di quanto egli dice ci è alieno, per ostico, assurdo, difficile che sia da capire”.
Henry Miller:
Il tempo degli assassini. Saggio su Rimbaud.
Sugarco editore