Madame Bovary e il desiderio mimetico
di Claudia Cardella
Il “bovarismo”. Se andiamo a cercare sul vocabolario Treccani il significato della parola bovarismo, troviamo che essa si deve al romanzo Madame Bovary di Gustave Flaubert, e che indica una condizione di insoddisfazione spirituale, o una tendenza psicologica a costruirsi una personalità fittizia. Cos’è accaduto dunque? Madame Bovary è stata la causa di una condizione che deve il proprio nome al suo? Oppure è Flaubert che, attraverso il personaggio di Madame Bovary, è riuscito a ritrarre, individuandone le peculiari caratteristiche, una condizione che sarebbe poi stata definita “bovarismo”? Poiché parliamo di Madame Bovary, non è difficile pensare che sia possibilissima anche la prima di queste due ipotesi. Tuttavia, è la seconda ad essere la più interessante, e quella certamente più verosimile.
Flaubert, nella prima parte del suo romanzo, ci dimostra con poco ma chiaramente chi è colei che, sposando Charles, diventa Madame Bovary. Indubbiamente si tratta di un personaggio romantico, la cui immaginazione tende a fare di ciò che si trova nella finzione letteraria una condizione ideale. Emma, tuttavia, non guarda alla finzione come ad un piano diverso rispetto alla realtà: al contrario, è come se confondesse queste due, finendo così per desiderare un’ideale che lei percepisce come reale, e passando di conseguenza a mimare (non uso a caso questo termine) le eroine dei suoi romanzi.
Non si tratta, però, a dispetto delle apparenze, di vita che imita l’arte, così come l’espressione viene intesa da Gautier e poi, sulle sue orme, dalla dottrina esteta, bensì di quel desiderio triangolare descritto notevolmente da Girard, il quale usò proprio Madame Bovary come esempio per analizzarlo. Emma, infatti, come dimostra Girard, non è troppo diversa da Don Chisciotte, con il quale condivide la caratteristica di trasformare la sua vita nell’emulazione di un’ideale letterario. Si potrebbe parlare, a questo punto, di “fare della propria vita un’opera d’arte”: di nuovo, però, bisogna precisare che ciò non si può intendere, qui, in senso esteta, perché la dottrina esteta vede la costruzione del proprio io come un qualcosa che si fa, cioè come un’intenzione di cui si è coscienti e che ha come fine la costruzione di una personalità coscientemente artificiale. Madame Bovary, al contrario, non ha coscienza della distinzione tra fittizio e reale; la sua emulazione di una finzione letteraria fa sì che lei perda la normale identificazione dell’io psicologico con l’io reale, e che si stabilisca in sua vece l’identificazione di questo stesso io psicologico con i personaggi fittizi che fungono da mediatori.
È risaputo che Flaubert, con questo personaggio, voleva criticare l’idealizzazione romantica, caratterizzata proprio da una mancanza di discernimento del piano fittizio, o ideale, da quello reale o fattuale. Tuttavia, come dimostra l’esistenza del termine bovarismo, questa forma di desiderio triangolare con mediazione di tipo esterno, non si limita alla mentalità romantica, né ancor meno ai Don Chisciotte del tempo di Miguel de Cervantes.
Innanzitutto, si può osservare che, quando si parla di bovarismo – torno alla definizione del vocabolario Treccani – si parla di una tendenza psicologica a costruirsi una personalità fittizia. Dunque, la condizione che la parola designa, non è quella creata da un normale desiderio mimetico con mediazione di tipo esterno o esplicito, bensì una condizione in cui, nel momento stesso in cui c’è il desiderio mimetico, avviene uno spostamento dell’identificazione dell’io psicologico, che cessa di avere come oggetto dell’identificazione l’io reale e si identifica piuttosto – inconsciamente, lo si è visto - con il mediatore fittizio.
Un esempio di questo spostamento, lo fornisce notevolmente il personaggio di Bernard ne Le onde di Virginia Woolf: quel che è interessante di questo personaggio è che esemplifica perfettamente come i “sintomi” della “sindrome di Madame Bovary” non si manifestino solo in chi, come si suol dire, legge troppi romanzi. Bernard dovrà attendere di arrivare ad un’età che è più vicina al termine dell’esistenza che non alla sua maturità, per capire di essere semplicemente Bernard; infatti, prima di quel momento, come lui stesso confessa, ha creduto di essere Lord Byron, di essere Shelley, di essere Dostoevskij, e il suo io si era addirittura confuso con quello dei suoi amici co-protagonisti del romanzo, ci fa intendere ad un certo punto.
Un’altra cosa interessante da osservare è poi come si manifesti la costruzione della personalità fittizia, di conseguenza allo spostamento dell’identificazione dell’io. Madame Bovary, desiderando di raggiungere la condizione ideale suggeritale dai suoi romanzi, incomincia a vestirsi e comportarsi come le sue eroine, ossia incomincia a creare una situazione che favorisce la confusione del piano della finzione con il piano della realtà. In questo modo, si accorcia la distanza psicologica che c’è tra lei e le sue mediatrici: in un certo senso, è come se ricreasse attorno a sé la condizione migliore per proseguire il suo sogno ad occhi aperti, favorendo così l’allontanamento dell’io psicologico da se stessa e dalla sua reale condizione. Allo stesso modo, Don Chisciotte, anche lui sogna ad occhi aperti: per poter assomigliare anche lui ad Amadigi, necessita di ricreare la realtà del poema cavalleresco, cosa che fa con il solo aiuto della sua immaginazione.
Ma il bovarismo, esattamente come non si limita al romanticismo, non si limita nemmeno alla finzione. Esso, come ci dice la sua stessa definizione, è una tendenza psicologica, che si può ritrovare in ogni momento della storia e persino, mi viene da dire, nelle persone più insospettabili. Flaubert ne ha tracciato un ritratto perfetto, soffermandosi, per sottolinearla, sulla pericolosità degli ideali. Ma invero ci può ingannare il fatto che Madame Bovary sia una, e che le sue mediatrici siano eroine. A mio avviso, infatti, si può rintracciare il desiderio mimetico con spostamento dell’identità dell’io psicologico e conseguente costruzione di una realtà, oltre che di una personalità, fittizia, persino in tratti peculiari della psicologia di certi eventi storici. Un esempio potrebbe essere il pensiero dei repubblicani, e in particolare dei giacobini, che contribuì non poco a determinare la direzione in cui si evolsero gli eventi della Rivoluzione francese. Si pensi ai dipinti di David, ai discorsi di Robespierre, persino alla stessa virtù repubblicana che trovava il suo modello nella virtù difesa e lodata nei testi letterari latini. Illuminanti al riguardo, sono alcune famose parole di Camille Desmoulins, il quale scrisse:
“Les premiers républicains qui parurent en 1789 étaient des jeunes gens, qui, nourris de la lecture de Cicéron dans le collèges, s’y étaient passionnés pour la liberté. On nous élevait dans les écoles de Rome et d'Athènes, et dans la fierté de la République.” (La Révolution française et Camille Desmoulins, Gérard Bonn, Éditions Glyphe, 2010).
[I primi repubblicani che apparvero nel 1789 erano dei giovani, i quali, nutriti con le letture di Cicerone durante gli anni di collegio, si erano appassionati alla libertà. Siamo stati cresciuti nelle scuole di Roma e di Atene, e nell’orgoglio della Repubblica] (Traduzione mia).