Lettera aperta al futuro Ministro dell'istruzione
Gentile Ministro,
In qualità di invisibile, nonché immaginario, coordinatore e supervisore in servizio permanente dell’Istruzione Pubblica, Le scrivo per ricordarLe i parametri entro i quali i suoi predecessori hanno inteso operare e per suggerirLe i criteri più idonei e proseguire con efficacia nella loro azione. Innanzitutto, La invito a prendere nota dei principi che sovrintendono alla selezione sia del nostro corpo docente sia degli studenti idonei a frequentare le facoltà universitarie del nostro paese. Iniziando da questi ultimi, è chiaro che, considerando ormai da tempo – e ciò in base ai risultati di rigorose ricerche scientifiche – non attendibile l’operato dei nostri docenti delle scuole secondarie superiori, ci aspettiamo da Lei che continui a tenere in quasi nessun conto delle centinaia di valutazioni – scritte e orali – cui vanamente sottopongono i loro studenti, annullandole rapidamente attraverso test d’ingresso universitari a domande chiuse da svolgersi in poche ore. Abbiamo infatti ragione di ritenere queste ultime più probanti delle centinaia di ore di verifiche intraprese da suddetti docenti, dato che, a causa dell’incompetenza e insipienza dei medesimi, esse potrebbero risultare ampiamente fuorvianti. Auspichiamo a questo riguardo che Ella non si lasci trarre in inganno da alcune testimonianze tendenziose – come quella di un noto e affermato medico che dopo alcuni decenni di onoratissima (a suo dire) attività non ha superato il test d’ingresso a Medicina – per essere indotto a ritenere un titolo di merito l’aver conseguito 100/100 all’esame di Stato piuttosto che una votazione di gran lunga inferiore: una simile titubanza da parte Sua potrebbe infatti condurLa ad attribuire un qualche significato non aleatorio alle valutazioni sistematiche dei nostri docenti delle medie superiori, con alcuni effetti negativi che vorrei qui sottoporre alla Sua attenzione: in primo luogo, gli stessi studenti potrebbero essere indotti a credere che un loro maggior impegno nello studio – sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo – potrebbe loro consentire un più facile accesso agli studi universitari; in secondo luogo ciò potrebbe ledere la fiducia che l’opinione pubblica ripone ormai – anche in virtù di adeguate ed efficaci campagne televisive, che hanno ormai diffuso e radicato nel popolo l’opinione che la “cultura” consista in fondo in nient’altro che nel saper rispondere a dei quiz e quindi che a nient’altro sia propizia se non a vincere dei premi in denaro - nell’efficacia dei criteri selettivi adottati dalla classe degli esimi specialisti che predispongono gli stessi test d’ingresso universitari.
Per quanto invece riguarda la selezione dei docenti medesimi, La invitiamo a proseguire sulla strada dai suoi predecessori già intrapresa, ovvero quella che si basa sul non tener conto, se non in minima misura, dei loro titoli culturali e scientifici e di selezionarli quindi attraverso test analoghi a quelli d’ingresso all’Università. Soprattutto, però, La esortiamo a continuare a non tenere in alcuna considerazione il parere degli studenti e delle loro famiglie circa l’efficacia dell’azione didattica e pedagogica dei docenti medesimi. Qualora infatti Lei decidesse - come è stato anche da alcune parti suggerito - di lasciare che siano gli stessi studenti a indicare quei docenti che dovrebbero selezionare i loro colleghi di domani, ciò potrebbe costituire un antefatto particolarmente pericoloso per tutto il nostro sistema educativo.
Le segnaliamo altresì l’opportunità di evitare – come sino ad oggi siamo quasi miracolosamente riusciti a fare – che nella scuola italiana s’insegni organicamente qualche cosa che abbia a che fare con la storia della musica e la storia del cinema: queste due presunte arti, infatti, sono particolarmente idonee a provocare reazioni emotivamente significative da parte dei giovani e sono del resto già da loro abbondantemente fruite attraverso i prodotti che i nostri media mettono loro a disposizione. Se i nostri studenti fossero invece posti in condizione di essere a conoscenza dei momenti salienti della storia di queste “arti”, ciò potrebbe far sorgere in loro qualche spirito critico rispetto agli effetti della produzione più recente e potrebbe quindi renderli meno propensi a usufruire dei consigli preziosi che gli stessi media mettono generosamente a loro disposizione, e che sono, com’è noto, indispensabili per il buon esito delle retrostanti imprese industriali e commerciali. A questo fine, e a titolo di esempio, considereremmo da parte Sua un’iniziativa decisamente improvvida il far sì che i nostri studenti vengano a conoscere in percentuale rilevante (le eccezioni sono ammesse, e in effetti ci sono ancora oggi, specialmente ad opera di quegli insegnanti che manifestano in merito, con notevole ostinazione, una certa intraprendenza e che noi, naturalmente, ci guardiamo bene dal premiare) l’opera di Beethoven o Chaplin, di Bach, Mozart, Vittorio De Sica o Billie Wilder.
Se si è fatta nella scuola qualche eccezione per la storia dell’arte, è infatti solo perché la fruizione delle opere in essa presenti non ha ripercussioni immediate sullo sviluppo di quel senso critico che potrebbe suscitare nei nostri giovani qualche riserva circa l’utilità di consumare quasi unicamente i prodotti recenti dell’industria cinematografica e musicale. In pratica, anche a questo proposito, abbiamo adottato il criterio della soluzione più vantaggiosa, e ciò anche in considerazione dell’esigenza di salvaguardare le apparenze per quanto concerne l’impegno formalmente assunto con l’umanità di valorizzare il patrimonio artistico del nostro paese.
Per motivi analoghi, La invitiamo a desistere dal voler introdurre nella scuola una conoscenza più articolata delle letterature comparate su scala mondiale: riteniamo infatti che si possa giungere ad una migliore comprensione dei nostri grandi scrittori senza una conoscenza diretta di analoghi “maestri” in altre letterature, ovvero, in termini diversi e ancora attraverso un esempio, pensiamo che per comprendere Manzoni sia meglio non aver mai letto direttamente Puskin o Cervantes, Balzac o Tolstoy, pur essendo ammessa la somministrazione manualistica di qualche nozione intorno alla loro opera. Naturalmente, anche in questo caso, alcune eccezioni che ci lasciano perplessi sono già operative, anche perché, studiandosi a scuola alcune lingue e letterature straniere, alcune contaminazioni risultano purtroppo inevitabili.
Per motivi affini, Le suggeriamo poi di non introdurre nella scuola uno studio comparato delle religioni, sia perché questo potrebbe favorire, specialmente in una società ormai multietnica e multireligiosa come la nostra, una migliore comprensione e comunicazione tra le sue diverse componenti – il ché risulterebbe controproducente per il raggiungimento di convinzioni rigorose e intransigenti in materia religiosa (anche qui naturalmente bisogna registrare la presenza di eccezioni in atto, dovute alla solita ostinazione dialogica di alcuni docenti) sia perché potrebbe indurre i nostri giovani a supporre che sussista qualche seria alternativa rispetto all’essere atei o agnostici piuttosto che cattolici romani.
Un capitolo a parte è poi quello costituito dai libri di testo: al di là del giudizio, necessariamente oscillante, circa la validità dei loro contenuti, consigliamo che essi continuino ad avere un peso e una dimensione adatti a farli ritenere non oggetti da cui sia possibile trarre qualche sorta di piacere, ma faticosi oggetti di studio, che possano cioè essere trasportati solo con fatica e mai letti in una posizione realmente comoda, cosicché i nostri giovani continuino ad attribuire a ciò che comunemente si chiama “cultura” il “peso” che merita. Del resto, proprio la loro “pesantezza”, così come la qualità eccellente della loro carta e altre loro caratteristiche attuali, si sono rivelate particolarmente utili per giustificare i loro prezzi, che costituiscono ingredienti fondamentali per il sostentamento delle industrie che li producono. L’evenienza, inoltre, che essi possano essere prodotti da equipe di docenti e messi on line, lasciando così più spazio alla lettura di testi originali e più soldi nelle tasche delle famiglie, pur essendo stata già ventilata e pur essendosi in alcuni casi anche realizzata, non dovrebbe a sua volta essere incoraggiata, anche per non sottrarre lavoro supplementare a chi tali testi faticosamente compila.
Poiché riteniamo inopportuno sollecitare qui ulteriormente la Sua attenzione sottoponendoLe altre proposte di recente avanzate per migliorare il nostro sistema scolastico e la sua efficacia didattico-educativa - proposte che potrebbero peraltro rivelarsi realmente innovative solo ad un esame superficiale - ci limitiamo ad informarLa che ci parrebbe opportuno anche per il futuro – e lo suggeriamo al fine di tutelare la Sua persona dalle critiche cui ormai da qualche decennio si mostrano inclini i lavoratori e gli utenti della scuola italiana - che Lei sostenesse pubblicamente, come già fatto da diversi suoi predecessori, che la nostra scuola non può essere riformata o anche solo migliorata in assenza dei fondi necessari. Poiché oggi risulta evidente a quasi tutta la popolazione la scarsità delle risorse disponibili, una simile preventiva autodifesa, unitamente alla conseguente somministrazione dell’idea generale secondo cui senza molti denari non si possa realizzare una scuola migliore, potrebbe costituire almeno per Lei (anche se non necessariamente il governo a cui apparterrà) la giustificazione più persuasiva della sua inattività futura, che qui distintamente auspichiamo.
Il coordinatore e supervisore generale dell’Istruzione pubblica (invisibile e immaginario).