Tutti a distanza, perché i morti non sono numeri
Prima di un intervento chirurgico in genere si proibisce al paziente di mangiare e di bere almeno per qualche ora. Mangiare, e anche bere acqua, potrebbe infatti provocare il vomito sotto anestesia e altri inconvenienti.
Nonostante questi protocolli scientificamente fondati, in Italia e nel mondo non mancano individui, particolarmente coscienziosi, disposti a sollevarsi e prodigarsi subito e all’unisono in difesa del cibo e dell’acqua: “non si può vivere senza mangiare!”, “chi non mangia muore!”, gridano; oppure: “l’acqua è fonte di vita!”, “il nostro organismo è fatto per lo più d’acqua, senz’acqua si muore!” e altre verità ovvie e sacrosante.
Sembrano sospettare, costoro, che i medici che tolgono drasticamente ai loro pazienti il cibo o l’acqua prima di un intervento lo facciano in sovrumano e improvvido disprezzo delle loro virtù nutrienti e dissetanti. Non sembrano invece prendere in esame l’ipotesi che in certe circostanze possa essere giusto o prudente non mangiare e non bere per un po’.
Naturalmente le cose, nel caso specifico, non stanno affatto così e si tratta solo di un paragone iperbolico. Ma all’interno del dibattito attualmente in corso sulla chiusura delle scuole non sono pochi quelli che sembrano adottare un atteggiamento simile: “la scuola in presenza è fondamentale!”, “non c’è vera scuola che non sia in presenza!”, “i ragazzi soffrono a stare chiusi in casa!” e altre verità non meno sacrosante delle precedenti, come se qualche docente, tra coloro che vedono in questo frangente con favore la chiusura delle scuole, avesse mai pensato il contrario e fosse favorevole alla chiusura in preda ad un raptus sconsiderato di cinismo o sadismo.
In realtà, non è affatto necessario credere che la didattica in presenza non sia preziosa, che sia un aspetto marginale della vita della scuola per arrivare a capire che in talune situazioni drammatiche il rinunciarvi può costituire il male minore. Esattamente come quei medici, chi sostiene questo non intende mettere in discussione l’importanza della didattica in presenza, ma crede semplicemente che in questa situazione, pur di fare tutto il possibile per arginare l’ondata di ritorno del covid 19, anche questo sia purtroppo un prezzo da pagare, dato che anche nelle scuole – sebbene in misura assai minore rispetto ai mezzi di trasporto (che sono comunque collegati con l’attività scolastica) – si diffonde il contagio.
Smentendo il governo e la Ministra Azzolina lo hanno sostenuto sia Andrea Crisanti sia Massimo Galli, due studiosi ormai a tutti noti. Iniziamo dal secondo: Galli ha spiegato che “si è voluto in tutti i modi dire che le scuole non c’entrano con l’aumento dei contagi. Però questo non sta in piedi. Le scuole c’entrano. Poi, certo, c’entra anche il fatto che i ragazzi si ritrovano
prima e dopo la scuola, sul trasporto pubblico e nella socialità extrascolastica. La coincidenza temporale c’è con tutto quanto. Io sono stato l’unico a dire che andare alle urne, con questa situazione, non fosse una grande idea”.
Crisanti, dal canto suo, il 3 settembre scorso, quando la situazione era ben diversa da quella di oggi, aveva detto: “le mascherine servono e funzionano. Se teniamo gli studenti tutti zitti per ore va bene che non la indossino in classe, ma non ce la vedo una classe che sta in silenzio per ore. Di fatto aboliamo l’interazione sociale in una classe, perché nel momento in cui si
parla si emette droplet. I ragazzi dovrebbero avere a disposizione la mascherina e se parlano se la mettono. Le mascherine andrebbero indossate anche seduti al banco, specialmente se si inizia una conversazione. A scuola si parla”.
Naturalmente, le sue indicazioni non sono state seguite e per oltre un mese in molte scuole le mascherine sono state indossate solo durante gli spostamenti. Così oggi lo stesso Crisanti può osservare come l’esperienza di Israele e Francia abbia mostrato “che le riaperture delle scuole sono potenzialmente in grado di aumentare i contagi. È chiaro che se noi andiamo a vedere solo la percentuale di studenti che si ammala, prendiamo un dato completamente falsato perché la maggior parte dei bambini-ragazzi è asintomatica, ma può portare il virus e infettare”. A conferma delle tesi del microbiologo italiano “il governo federale tedesco ha ufficialmente riconosciuto l’aerosol transmission quale causa rilevante della diffusione del contagio”.
Diversi rapporti internazionali indicano quindi in almeno due metri la distanza minima necessaria in un’aula in cui gli studenti siano senza mascherina e ritengono necessaria l’areazione della stanza in modo continuativo. Dopo più di un mese che gli studenti stanno a un metro fa piacere venirlo a sapere così.
Ora, nonostante le considerazioni di questi illustri medici e studiosi e nonostante una lettera di analogo tenore che cento scienziati italiani hanno scritto al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, quelli più bravi e coscienziosi, quelli che loro sì che hanno a cuore i destini della scuola e della didattica, continuano a proclamare le virtù del cibo e dell’acqua, sottintendendo che gli altri sono incapaci di comprendere una simile evidenza.
Ma nessuno vuole mettere in dubbio l’importanza né del cibo, né dell’acqua, né della didattica in presenza, che è quella di gran lunga la più efficace sotto ogni riguardo. Si vuol semplicemente sostenere che in alcune circostanze estreme e drammatiche, qualche mese di didattica a distanza – con tutti gli opportuni accorgimenti del caso, come forniture di PC e connessioni internet a chi non ne ha di funzionanti – ci può consentire di arrivare senza troppe centinaia di morti in più fino al tempo in cui saranno disponibili cure più efficaci a base di anticorpi monoclonali, e poi i vaccini, così da poter riaprire dopo le feste natalizie gradualmente le scuole.
Purtroppo, invece, oggi viviamo in tempi caratterizzati da un profondo individualismo, in cui, come ha recentemente ricordato Umberto Galimberti, i morti sono numeri, dato che si suppone siano sempre quelli degli altri, per cui non è escluso che i salvatori della scuola in presenza “costi quel che costi” vincano la loro battaglia, con le serie di sofferenze e decessi evitabili che ne seguiranno.