Sulla necessità di ritradurre João Guimarães Rosa

 

 

 

SULLA NECESSITÁ DI (RI)TRADURRE JOÃO GUIMARÃES ROSA IN ITALIANO

 

 di Marco Cristellotti

Mi sono trovato quasi senza volere nella necessitá di tradurre in italiano l’ultima opera dello scrittore brasiliano João Guimarães Rosa, Tutaméia, pubblicata in Brasile nel 1967, pochi mesi prima della morte dell’autore.  Giá il titolo suggerisce che si tratti di un tentativo di condensare in forma breve il lavoro letterario di una vita. Variante considerata dall’autore: Mea omnia. I 40 racconti brevi più le 4 prefazioni di Tutamèia  solo in apparenza contrastano con la forma dell’opera principale di Rosa, il romanzo Grande Sertão: Veredas, un opera fiume di 600 e passa pagine mai cadenziate da capitoli ma solo da capoversi. Sono invece la chiave per capire tutto la parabola letteraria nel polo dialettico tra la fiumana epico-romanzesca e lirica di GrandeSertão e la crittografia linguistico-matematica, l’enigmistica letteraria e la concentrazione atomica dei raccontini di Tutamèia.

 

Nonada, quisquilia, é la parola chiave che lega le due opere, la prima parola del romanzo fiume che la connette al sottotitolo di Tutaméia, Ossa di farfalla. Il grande epos, la saga di  Riobaldo e Diadorim, si legano alle quisquilie dei raccontini di Tutaméia attraverso dei dettagli minimi, come la breccia irrelevante lasciata da Teti sul tallone di Achille. Da qui la necessitá stringente di tradurre il Rosa inedito in italiano e possibilmente di ritradurre le sue opere giá presenti nella nostra lingua. Necessità che pende per lo meno dal 1970, quando G. Contini sanciva sul Corriere della Sera la rilevanza globale di Rosa nel panorama letterario mondiale: Un Faust brasiliano.  Rilevava in quell’articolo gli ostacoli della sua traduzione: difficoltá cospicue, ma meramente idiomatiche, alla Gadda per intenderci, non piú vastamente esegetiche, come per l’ultimo Joyce.

 

Una doppia necessitá, quindi, muove questa traduzione: quella di rivelare un’opera inedita in italiano e quella di chiudere il cerchio interpretativo su un autore che nell’anno della morte era quasi certo vincitore del premio Nobel per la letteratura. Un cerchio che puó chiudersi solo con l’interpretazione di cosa lega in questo scrittore la forma epico-romanzesca al racconto breve. I tratti arcaici del suo linguaggio e la modernità spinta dei suoi esperimenti linguistici. La traccia é fornita da Rosa stesso quando scrive: Non sono un rivoluzionario della lingua, chi afferma questo non afferra alcun senso della lingua, perché giudica secondo le apparenze. Se proprio vogliamo una frase fatta, preferirei che mi chiamassero reazionario della lingua, perché ogni giorno cerco di risalire all’origine della lingua, lí dove la parola sta ancora nelle interiora dell’anima, per potergli dare luce secondo la mia immagine.  Una chiave d’oro per capire anche il senso della lingua e della cultura brasiliane in toto.

 

Se una prima lettura di questa traduzione può lasciare sconcertati   o risultare un tanto incomprensibile, un primo passo di approssimazione al testo originale di Rosa è stato fatto, perché analoga é l’impressione sul lettore brasiliano.  Una seconda lettura potrà dire se anche i passi successivi hanno avuto esito, qualora si riveli poco a poco o di forma immediata la sua chiave crittografica.

L’idea di fondo è stata cercare le parentele tra lo strano linguaggio di Rosa e alcune propaggini della lingua italiana. Un punto di contatto.  Mi è sembrato che portoghesizzare l’italiano fosse l’unico modo di dare a Tutaméia una leggibilità nella nostra lingua.

 

Altre traduzioni che osassero meno sono impraticabili in questo caso, in quanto portano inevitabilmente alla parafrasi. Tradurre Rosa richiede uno sforzo di composizione e una buona dose di sfrontatezza, di irriverenza, doti che normalmente scarseggiano tra i professionisti delle lettere. Forse per questo l’ultima opera di Rosa attende da 46 anni la sua forma italiana, che la completa in maniera particolare, come l’autore ha lasciato intendere.

 

Edoardo Bizzarri, che si dedicò con estrema competenza alle principali traduzioni tuttora disponibili in italiano, fece miracoli ai suoi tempi, ma oggi non rende giustizia piena a quanto Rosa merita nella nostra lingua, come già notava, nel 1985,  L. Stegango Picchio, in occasione della ristampa per i tipi Feltrinelli di Grande Sertão:Veredas. Il  contatto diretto con l’autore, col suo legato  di reverenza, alla fine ha giovato solo in parte alle sue traduzioni.

 

Insomma, detto proprio in forma semplice, credo che oggi Rosa sia in Italia l’unico, l’ultimo dei grandi del ‘900, tra le principali lingue romanze, ancora in attesa di un vero sdoganamento, non solo in relazione ad opere come Tutaméia, fino ad oggi inedita, ma anche a nuove versioni di opere come Grande Sertão:Veredas, Corpo de Baile e Sagarana.

 

L’Italia oggi stenta, è invecchiata, si dibatte coi problemi dello strano, dello straniero, ma non ha mai perso in fondo il suo grande talento nella comprensione e rappresentazione di culture e lingue differenti, in special modo quelle americane.

Credo che fosse questo, in ultima istanza, che Rosa aveva capito, questa necessitá speciale di un completamento italiano dei suoi lavori, quando lasciava trasparire, nei suoi carteggi con Bizzarri, la sua predilezione per la traduzione nella nostra lingua.