Il dono dei poeti

 

Il segreto ordito che siamo ci precede appena, senza mostrarsi; solo di parola in parola è dato intravederlo, macchia d’inchiostro dopo macchia d’inchiostro. Come il dio di Delfi accenna soltanto alla sua forma finale, senza dirla mai del tutto. Così, sulla superficie  increspata dello stesso dormiveglia, frammenti di sogni e di pensieri scorrono insieme all’eco di miti e di poesie, e le tracce letterarie orientali-occidentali affiancano quelle delle amicizie più antiche.

In questo flusso di ricordi e lucide nostalgie il poeta può rivolgersi al figlio Ariele come fosse un semidio e analoghi nomi, quasi divini, assumono le persone a lui più care, come le due mogli e gli amici. Ancora una volta, a distanza di anni dopo Teatrini del Signor Egli, giace assopita sullo sfondo la stessa agnizione: “quel poco che c’era da dire era niente”. Un nonnulla basta infatti a suscitare versi che “evaporano l’istante successivo nel vuoto”.

 

Ma se nella precedente raccolta di versi di Alberto Guareschi quella di Beckett era stata la presenza più assidua e significativa, in questa ultima Stella polare Hölderlin appare a ondate come l’interlocutore più ricorrente e vivo. Il signor Egli, già trascorso protagonista nei suoi “Teatrini”, che a tratti deambula oscillando incerto come Monsieur Hulot, sembra infatti lasciarsi cullare dalla voce del poeta tedesco. Anche quando si sofferma incantato su piccole cose, come su altrettanti simboli, poi raccogliticci sul suo taccuino, pare lo faccia sull’onda dell’eco dei suoi versi.

Il signor Egli s’immerge nel suo alone, nel suo paesaggio, così come si sprofonda nel roveto dei propri ricordi e lasciti. Nel bosco simbolico e nel guscio prenatale dove tutto risuona, si dissipa per rimanere. Si perde nel letargo della vita che gli sopravvive mentre entra a sua volta, come un antico pittore dell’epoca Tang, nel quadro che stava dipingendo, “scomparendo fra gli alberi e i bambù / poco prima dipinti”.

C’è anche un controcanto tra i versi, una risonanza che rivela l’intenzione di un contrappunto, e si manifesta all’improvviso con l’uso del corsivo: urgenze della memoria, scenari di altri “teatrini”. Alla fine, ciò che rimane è “il respiro della risacca, l’eco di una schiuma che si frange e perdura”. Ma la provenienza di un simile controcanto non è solo Hölderlin: a tratti traspaiono nel testo anche altri poeti, come Benn, o Li Po, o scrittori che condividono con Guareschi un’andatura distesa, come Murasaki, che aveva già dipinto / orbite paradisi labirinti / del cuore, rivelato /i sentieri a spirale dove l’anima / smarrisce ogni orizzonte dentro l’ignoto.   

Senza l’appartenenza a un dolore semplicemente non siamo. Per questo è necessario farlo riaffiorare, smarrirlo nei versi per ritrovarne le tracce, giocare con esso come il gatto col topo, senza che ci sia dato sapere chi dei due svolga il ruolo del predatore. Se un giorno dovesse dissolversi completamente quello che ci percuote e ci avvinghia spariremmo nel nulla. Per questo i poeti ne conservano volentieri la memoria, per questo ne assaporano la scia, la bianca spuma vaporosa, sorseggiandola talora come fosse un vino prelibato. Possono avvolgersi nella sua seta leggera e lasciarsi cullare da altri versi, da ricordi remoti come da affetti duraturi e sinceri. La vita riama solo chi ne apprezza il sapore, il retrogusto amaro e forte, che inondi il palato fin nella gola, chi sa sprofondare nelle sue lontananze e guardarla con gli occhi di un cuore ignoto. “E non è bene l’essere / esanimi da pensieri mortali; / bene, invece, / dire il senso del cuore, affidarsi al colloquio, rievocare / i giorni dell’amore, / gli avvenimenti”, perché il soffio che anima “i pensieri e l’inchiostro / non è parte del vento / che ci ignora”, ma eco di una voce che risuona amica nell’aria: quella del poeta celato nell’anima, quella che si vorrebbe sentir giungere sempre fresca e come nuova da un qualche altrove incorruttibile, limpida come acqua che zampilli da una fonte sacra. Il suo lieve mormorio è tutto quel che rimane;ed “è dono dei poeti”.

 

 

Alberto Guareschi, Stella polare. Poesie Lettere in versi Teatrini, Passigli poesia, Firenze, 2016.