Johan Huizinga e l'imbarbarimento della civiltà
Ne La crisi della civiltà Johan Huizinga – l’autore, tra molte altre opere, di due capolavori della storiografia di ogni tempo come L’autunno del medioevo e di Homo ludens - manifesta preoccupazioni analoghe a quelle evidenziate da Josè Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse: entrambi, lo storico e il filosofo, registrano un imbarbarimento della cultura, dello spirito e della società nell’età contemporanea che sono strettamente collegabili con il ruolo sempre più decisivo assunto in essa dalle masse.
La critica avanzata da Huizinga può essere riassunta dalle seguenti osservazioni e dal successivo quesito: “la prospettiva di un mondo civile abbandonato a un suo proprio dinamismo, a un sempre crescente dominio delle forze naturali, a una sempre più piena e immediata pubblicità di quanto accade, ha in sé molto più dell’incubo che della promessa di una civiltà purificata, ripristinata, innalzata. Desta visioni di insopportabile sovraccarico e di schiavitù spirituale. La prospettiva di una civiltà che continua a svolgersi ci ispira da gran tempo l’ansiosa domanda: lo svolgimento culturale cui assistiamo non è piuttosto un processo d’imbarbarimento?
Per imbarbarimento – spiega Huizinga di seguito - si può intendere un processo culturale, in virtù del quale una situazione spirituale d’alto valore venga a poco a poco soffocata e ricacciata indietro da elementi di più basso livello. Può essere incerto se i rappresentanti dell’elemento basso e di quello alto debbano necessariamente fronteggiarsi sotto l’aspetto di masse e di élite. A ogni modo, ove si voglia affermare questa popolarità, bisognerà assolutamente svuotare i concetti di massa e di élite di qualsiasi contenuto sociale, e considerarli solo in quanto espressioni di atteggiamenti spirituali. Così intese la cosa anche Ortega y Gasset nella sua Rébelion de las masas.”
Huizinga individua persino nei moderni strumenti di comunicazione di massa - come allora, verso la metà degli anni trenta, erano la radio e il cinema – un aspetto insidioso per la civiltà contemporanea, perché a suo avviso essi rischiano di “disabituare la gioventù dal pensare, di mantenerla infantile, e probabilmente, per giunta, di annoiarla rapidamente e a fondo”. La lettura è al loro cospetto “una funzione culturale più fine. Leggendo lo spirito afferra molto più in fretta, sceglie continuamente, si tende, salta, sosta, riflette: mille moti del pensiero in un istante, che sono negati al radioascoltatore”. L’habitat socio-culturale in cui la civiltà futura dovrebbe svilupparsi ne risulta minacciato, tanto che sarà arduo evitarne l’imbarbarimento. Le forze organizzatrici della società, come partiti, chiese e associazioni, non sono infatti in grado di impedire un mutamento che si annuncia come epocale, o almeno non lo saranno se non cercheranno prima di tutto di provocare un mutamento di tipo spirituale.
Per Huizinga “non possiamo aspettarci la salute dall’intervento di una forza organizzatrice. Le basi della civiltà sono di tutt’altra specie; né gli organi collettivi come tali – popoli, stati, chiese, scuole, partiti, associazioni – possono porle o mantenerle. È necessaria una purificazione interiore che prenda tutto l’individuo. Deve mutare l’habitat spirituale dell’uomo. Il mondo attuale è andato molto oltre sulla via della piena negazione d’ogni norma morale assoluta. A mala pena distingue, convinto, il bene dal male. Esso è portato a ritenere tutte le crisi, che l’odierna civiltà attraversa, una mera lotta tra opposte tendenze, una lotta tra avversari per il potere. Eppure la possibilità di sperare sta tutta nel riconoscimento che in questa lotta le azioni si ordinano secondo un principio di bene assoluto e di male assoluto. Da questo riconoscimento consegue che la salvezza non può essere contenuta nella vittoria di uno stato, di un popolo, di una razza, di una classe. Il senso umano della responsabilità raggiunge il suo più basso livello quando si sottopone il criterio dell’approvazione o della condanna a una finalità fondata sull’egoismo”.
Certo, il termine “egoismo” si presta a diverse interpretazioni, ma quella che sembra qui evocata da Huizinga suggerisce l’idea che nella società contemporanea l’uomo sia portato a relativizzare ogni valore o principio per conformarsi alla massa, e ciò proprio in quanto da un punto di vista “egoistico” quest’atteggiamento è più comodo, rassicurante e conveniente di quanto non sia quello di avere convinzioni “controcorrente”, o comunque meno gratificanti dal punto di vista sociale.
Questa maggiore gratificazione sociale, il poter essere rassicurati rispetto alle proprie ragioni, al proprio diritto di esprimerle e difenderle pubblicamente, il ritenere giusto semplicemente ciò che è condiviso su più larga scala costituisce infatti una delle forme di egoismo più subdole e mascherate, una di quelle da cui è più difficile difendersi e prendere le distanze, una delle meno riconoscibili e più facilmente scambiabili per l’opposto dell’egoismo, ovvero per quell’attitudine morale che è normalmente definita “altruismo”.
L’egoismo cui fa riferimento Huizinga è appunto quest’ultimo mai nominato e poco preso in considerazione, quello su cui anche Nietzsche e Ortega si sono soffermati: è l’egoismo celato nel conformismo sociale e culturale, è quello che tende a promuovere gli atteggiamenti illiberali e intolleranti di una maggioranza persino in nome della libertà e della tolleranza, o quelli che hanno conseguenze ingiuste in nome di una maggiore giustizia: è quello che, per usare delle categorie weberiane, tende a trincerarsi dietro un’astratta etica della convinzione per evitare di confrontarsi con una più concreta e onesta etica della responsabilità.
Si tratta cioè di un sintomo, sordo e silente nella fase all’iniziale, d’un imbarbarimento che - specialmente in un’età in cui, come quella odierna, i mezzi di comunicazione sono ben più potenti, influenti e pervasivi della “radio” o del “cinema” cui faceva riferimento Huizinga – preoccupa nel suo complesso esponenzialmente di più di quanto possono risultare preoccupanti le sue singole e variegate manifestazioni. Si tratta dell’egoismo che si cela a se stesso identificandosi con la massa, che induce a non assumersi le proprie responsabilità individuali, che si camuffa d’altruismo celandosi in movimenti collettivi e che è irresistibilmente attratto dai luoghi in cui, per eccessivo affollamento, non si trova posto. Esso appare ormai come l’inizio di un vero e proprio mutamento antropologico ricco di premonizioni sinistre, al quale ci si può opporre solo tornando a curare “l’habitat culturale” dell’uomo, la cui totale incuria sta invece rapidamente cooperando anche alla distruzione di quell’altro habitat, questa volta fisico e naturale, di cui per lo più si parla.
Johan Huizinga, La crisi della civiltà, trad. it. Torino, 1962.