La riforma dell'università e la vendetta dell'asino
Negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare dei soldi spesi dall’università italiana per studiare “l’asino dell’Amiata”. Pare che l’ammontare della spesa per finanziare tali studi si aggiri intorno ai 60.000 Euro e ciò ha suscitato notevoli recriminatorie da parte di coloro che hanno contribuito, più o meno direttamente, a varare la recente riforma della scuola. I soldi spesi per approfondire le nostre conoscenze intorno a questo animale dall’aria mite, caratterizzato da un striscia scura sul mantello grigio, sono sembrati anche a buona parte dell’opinione pubblica eccessivi e non proporzionati alla dignità all’oggetto della ricerca.
Eppure la notizia che l’asino, proprio l’asino, e quello dell’Amiata in particolare, fosse oggetto di una ricerca così dispendiosa ha suscitato in molti un certo stupore, e in alcuni parlamentari persino una certa indignazione. Sorge pertanto il sospetto che coloro che s’indignano sappiano poco o nulla di ciò che si fa normalmente in alcune facoltà universitarie, oppure che siano animati da qualche soverchio pregiudizio nei confronti o dell’asino, o dell’Amiata, o di entrambi questi soggetti. Se qualche eventuale riserva circa questa bella montagna sul limitare della terra di Maremma sembra poco giustificata, quella nei confronti dei suoi abitatori asinini invece non lo sembra affatto. Infatti quale forma di cultura o di sapere potrebbe mai provenire da un asino? Per quale ragione i denari pubblici dovrebbero mai essere impiegati per studiare un animale così scarsamente propenso ad istruire chicchessia, oltre che a lasciarsi istruire?
La contraddizione sembra evidente e alcuni nostri ministri e parlamentari hanno fatto in modo che non fosse ignorato dall’opinione pubblica il loro disappunto per simili sprechi, citati quali esempi paradossali di quelli più diffusi di cui sarebbero responsabili le nostre istituzioni universitarie. Il fatto che altri animali, non provvisti di una maggiore dignità culturale, siano invece studiati quotidianamente non ha, a quanto pare, sollevato perplessità di sorta, né presso quei parlamentari intenti a tagliare le spese superflue né presso quella parte dell’opinione pubblica che si è affrettata a plaudire a simili tagli.
Certo, molti sono gli sprechi nella pubblica amministrazione, e molti ve ne sono anche all’interno della nostra università, ma forse, per individuarli, ridimensionarli o eliminarli sarebbero più indicate persone competenti nei settori specifici della ricerca corrente, piuttosto che politici pronti a citare demagogicamente gli asini e chi li studia quali esempi di un’eccessiva disinvoltura nella fruizione dei finanziamenti pubblici.
Ma l’asino, si sa, oltre ad essere un animale mite e poco erudito, è anche un animale recalcitrante e testardo, tanto che, alla luce di queste sue caratteristiche, non si può escludere che s’indigni a sua volta. A questo punto della diatriba, quindi, c’è solo da auspicare che i pregiudizi dei nostri governanti non si ritorcano loro contro e che la nemesi dell’asino - la quale solitamente si manifesta trasferendo in chi l'offende dosi suppletive di asininità - non li colpisca con la stessa frettolosa disinvoltura.