Una colpevole negligenza

La disgraziata assenza della storia della musica e della storia del cinema da quasi tutte le scuole superiori italiane.

  Nella scuola superiore italiana si trova sensato insegnare la storia dell’arte. Non è una cattiva idea. In un paese che detiene il settanta per cento circa del patrimonio artistico mondiale sarebbe particolarmente grave se così non fosse. In ogni caso, a prescindere da questi dati statistici, sarebbe grave comunque. Non solo in Italia, ma in qualsiasi paese che volesse ritenersi civile. Per un motivo analogo, sarebbe molto grave se nelle scuole superiori di ogni paese non s’insegnasse la storia della letteratura, e non solo di quella nazionale, ma anche di quelle che abbiano qualche rilievo nella storia della letteratura mondiale.

    Tuttavia, ciò che pare scontato per la storia dell’arte e della letteratura non sembra tale per la storia della musica e del cinema, pur trattandosi di due arti non meno degne. Per qualche oscuro motivo si ritiene che gli studenti delle superiori possano ignorare l’esistenza di Bach, Mozart o Beethoven, di Verdi o Puccini, di Charlie Parker o Miles Davis, di De André, Guccini o Bob Dylan. Si ritiene, evidentemente, che il saper ascoltare con piacere un brano di musica classica, o di musica jazz, o qualche canzone d’autore di qualche decennio fa non costituisca un’esperienza formativa, né culturalmente rilevante.

    Qualcuno potrà obiettare che per questo tipo di esperienze ci sono i licei musicali: ma a parte che sono frequentati solo da un numero relativamente ristretto di studenti, lo scopo di questi licei è quello di formare dei musicisti, e non tanto, in linea più generale, dei futuri cittadini che potrebbero trarre un notevole vantaggio per la loro formazione dal saper ascoltare musica in maniera più consapevole.

    Qualche tempo fa, un’amica che organizza abitualmente concerti di musica classica mi raccontava che oggi per lei il problema più grande non è trovare i musicisti, ma trovare il pubblico, e specialmente un pubblico giovane. Ma perché mai dovrebbe esistere ancora un pubblico se, a quanto mi risulta dopo aver interpellato almeno una dozzina di classi e di colleghi, in ogni classe dei licei ormai ci sono al massimo uno o due studenti che hanno ascoltato per intero, in tutta la loro vita, un brano di musica classica o di Jazz?

    Questa circostanza, che qualsiasi docente o studente può facilmente accertare, risulta particolarmente grave alla luce del rilievo che la musica riveste tra le arti e per l’umanità. Milan Kundera osserva che “un uomo non può essere ebbro di un romanzo o di un quadro, ma può ubriacarsi della Nona di Beethoven, della Sonata per due pianoforti e percussione di Bartók o di una canzone dei Beatles”. Questa peculiare caratteristica della musica potrebbe a sua volta dipendere dal fatto che, come sostiene Leonard Bernstein, essa riesce a “nominare l’innominabile e comunicare l’inconoscibile”, oppure dal suo essere un “dono misterioso”, come crede  Darwin, un dono che però costituisce anche uno dei più grandi piaceri della vita, forse “secondo solo all’amore”, come dice Puskin, salvo poi constatare che “l’amore stesso è musica”; oppure  potrebbe ancora dipendere, come pensa Proust, dal semplice fatto che essa consente a due anime di comunicare tra loro senza passare dal linguaggio. In ogni caso, comunque vogliamo spiegare o interpretare i suoi poteri misteriosi e quasi magici, di certo la musica ricopre un ruolo eminente tra le arti e nella storia della civiltà umana.

   Anche alla luce di osservazioni come queste non si comprende perché la storia della musica – al contrario di quella dell’arte, della letteratura o della filosofia, tutte giustamente valorizzate - debba essere tanto penalizzata e trascurata dai programmi scolastici, dato che ci sarebbero semmai degli ottimi motivi per dedicarle un’attenzione particolare. Per il nostro paese, per la sua storia culturale, non è di certo meno importante dell’arte o della letteratura, se è vero, com’è vero, che l’unico ambito in cui l’italiano è la lingua più importante al mondo è quello musicale. Inoltre, poiché si tratta di un’arte a cui i giovani si accostano in maniera spontanea e cui dedicano buona parte del loro tempo libero, potrebbe anche costituire la mediatrice ideale per un migliore e più spontaneo accesso alle altre.

    Forse, però, proprio questa circostanza ha indotto una lunga teoria di ministri e politici in errore: siccome i giovani si accostano spontaneamente alla musica, non vale la pena dedicarle sistematicamente del tempo a scuola. Certo, se questa fosse la motivazione, sarebbe banalmente fuorviante. Il fatto che i giovani si accostino spontaneamente alla musica, infatti, non solo non dovrebbe indurre a pensare che possano fare a meno di una formazione musicale, ma dovrebbe piuttosto sollecitare una considerazione opposta, e cioè che, per potersi orientare all’interno di una tanto variegata offerta di brani e di canzoni, per evitare che divengano dei consumatori passivi e acritici degli ultimi prodotti musicali offerti dal mercato, dovrebbero disporre di una formazione adeguata.

    Per quanto concerne poi la storia del cinema il discorso non è molto diverso. Fino a una quindicina di anni fa una discreta percentuale dei nostri studenti liceali avevano visto qualche film di Chaplin, di De Sica, di Rossellini o di Fellini; oggi costituisce già una piacevole sorpresa trovarne uno o due per classe. Anche il cinema, come la musica, costituisce uno di quei mezzi espressivi cui i giovani accedono spontaneamente e che potrebbero quindi rivelarsi dei preziosi mediatori tra i loro orizzonti cultuali e quelli che la scuola cerca di proporgli.

    L’indifferenza che il nostro sistema educativo mostra sia per la storia del cinema sia per quella della musica è dunque inspiegabile e contraddittoria: inspiegabile perché non si capisce come i responsabili delle scelte che riguardano la formazione dei nostri giovani possano di fatto non sentirsi responsabili di una simile negligenza; contraddittoria perché non si comprende per quale misteriosa ragione ci si senta invece in dovere di far conoscere Dante, Petrarca e Boccaccio, Ariosto e Tasso, Michelangelo e Leonardo, Caravaggio e Rembrandt. Tanto varrebbe, a questo punto, togliere dai programmi anche i classici della letteratura e dell’arte, così da manifestare apertamente il proprio dissenso verso quel noto aforisma, attribuito a Bernardo di Chartres, secondo il quale saremmo “nani sulle spalle di giganti”, e così da favorire l’ignoranza di alcune forme di quella bellezza che potrebbe invece, secondo Dostoevskij, salvare il mondo. Rendendo i nostri giovani sempre più facili prede delle mode culturali e sempre meno capaci di discernere e valutare il pregio estetico di un’ipotetica opera d’arte abbiamo infatti, nonostante la strenua opposizione e resistenza di molti docenti e di alcuni genitori, buone possibilità di riuscirci in un futuro non remoto.

    Per coerenza con le disposizioni vigenti rispetto alla musica e al cinema si potrebbe infatti sin da ora proporre l’abolizione dello studio dei grandi scrittori e artisti del passato, ovvero di tutti coloro che occupano ancora oggi tanta parte dei programmi scolastici. In compenso, rinunciando a un simile dispendio di ore nello studio delle loro opere ci potremmo concentrare sugli ultimi best seller, sui video-giochi di maggior successo e su quelle produzioni holliwoodiane che gli studenti hanno già abbondanti occasioni d’intercettare.

    Sarebbe decisamente meno difficile e faticoso, più vantaggioso per vari settori produttivi e, soprattutto, più coerente con l’indifferenza con cui sono considerate nella nostra scuola la storia della musica e quella del cinema. Ma una simile indifferenza, come forse abbiamo suggerito, non è casuale: non favorendo una consapevole esperienza estetica degli studenti rispetto a queste arti si finisce infatti con l’abbassare sempre più il loro senso critico e li si può trasformare in consumatori sempre più efficienti, capaci di acquistare subito qualsiasi cosa senza storcere il naso, ovvero in consumatori ideali in quanto compiutamente reificati.

    Peccato, perché porre rimedio a tutto questo sarebbe forse un po’ costoso, ma sicuramente non difficile: basterebbe inserire nelle scuole superiori l’insegnamento di una nuova disciplina, “storia della musica, del cinema e dello spettacolo” per due ore settimanali. Trattandosi di un insegnamento di tipo un po’ diverso da quello usuale, non andrebbe più di tanto ad appesantire il lavoro complessivo da svolgere, e anzi potrebbe avere una funzione intellettualmente defatigante, contribuendo però a rendere la scuola un luogo più piacevole di quanto venga attualmente percepita e garantendo agli studenti, in maniera più organica rispetto a quanto accade oggi, quell’educazione alla bellezza che potrebbe rendergli in futuro cittadini più consapevoli, umani e felici.