Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung
All’inizio degli anni 70 ci sembrava normale partecipare a riunioni in una sala fumosa dove campeggiavano, dietro un tavolo con delle sedie, due gigantografie, rispettivamente di Josif Stalin e di Mao Tse Tung. La percentuale degli studenti del nostro liceo che erano regolarmente iscritti a Stella Rossa non era alta, ma molti, in veste di amici o simpatizzanti, partecipavamo comunque alle riunioni della Lega rivoluzionaria della scuola, che di Stella Rossa era l’emanazione in ambito studentesco.
Allora ci sembrava normale considerare Stalin un bravo rivoluzionario, che aveva dedicato la sua vita alla classe operaia, oltre ad aver salvato il mondo dal nazismo; così come ci sembrava normale essere marxisti-leninisti e maiosti. Di Mao conoscevamo in genere solo qualche pagina del suo libretto rosso, molto di moda in quegli anni, e avevamo un’idea vaga e idealizzata di come funzionasse la società cinese. Su Stalin qualcuno aveva letto, anche sul manuale di storia, che sì, aveva commesso qualche esagerazione, ma questo non intaccava il giudizio complessivo sulla bontà dei valori di riferimento a cui aveva dedicato la sua vita. Il fatto che questi due protagonisti della storia del Novecento potessero aver provocato la morte di decine di milioni di loro concittadini in tempo di pace ci era allora ignoto. A scuola nessuno vi aveva fatto mai cenno e i libri di testo tendevano a glissare sulle dimensioni dei loro crimini nonostante che Arcipelago Gulag di Solgenitsin iniziasse a circolare in Italia proprio in quel periodo.
Dei crimini di Stalin scoprimmo la portata solo molti anni dopo, quando, dopo il crollo dell’URSS, furono aperti i suoi archivi e per molti storici, anche italiani, fu possibile accedervi. Allora, anche quei pochi che ne sapevano qualcosa non ne parlavano volentieri, almeno a scuola, dove le assemblee erano monopolizzate dai cosiddetti gruppuscoli extraparlamentari. I più famosi, almeno dalle nostre parti, erano Lotta Continua, Avanguardia operaia, Il Manifesto… ma nel nostro liceo il gruppo più forte e organizzato, quello che potremmo ritenere egemone nel movimento studentesco, era Stella Rossa, dichiaratamente stalinista.
Uno scrittore-editore nella città dei Montanelli
Il paese che dette i natali a Indro Montanelli, e che ancora prima li aveva dati a un altro illustre Montanelli, quel Giuseppe che era stato uno dei triumviri nella Repubblica Fiorentina, è una cittadina che si trova nella valle dell’Arno, in una posizione quasi equidistante tra Firenze, Pisa e Lucca. La sua dimensione è in effetti ancora incerta tra quella della città e quella di un paese, per la distanza breve tra il borgo antico e la campagna, che pare quasi di poter toccare dalle sue strade, piazze e stradine.
Fucecchio, di cui si parla, è in effetti una cittadina, ma dotata, oltre che di un bel centro storico (ancorché da troppo tempo poco valorizzato) e di una bella campagna intorno, anche di una rimarchevole vita culturale, più intensa e viva anche di quella reperibile in città più grandi. Di Fucecchio v’è una parte alta e una parte bassa e Indro Montanelli non si lasciò sfuggire l’occasione di descrivere le battaglie tra insuesi (gli abitanti della parte alta) e ingiuesi (gli abitanti dei quella bassa). Oggi questi scontri a colpi di uova non ci sono più, ma c’è il palio, ci sono le cene delle contrade, goliardiche e propiziatrici di vittorie, la sfilata della mattina con i costumi medievali e poi, nel pomeriggio, la disfida finale nella “buca”, ovvero il circuito di sabbia subito fuori città, dove il palio si tiene ogni anno.
Leggi tutto: Uno scrittore-editore nella città dei Montanelli
La sconfitta pilotata dell'Ucraina e la linea rossa di Putin
In questi giorni molte città ucraine sono di nuovo sotto il fuoco dei missili e delle bombe di Mosca. Questa strage di civili, che non risparmia nemmeno i soccorritori, continua da oltre due anni, ma a differenza di quanto succedeva nei primi mesi successivi all’invasione russa oggi l’Ucraina disporrebbe delle armi idonee per colpire le postazioni da cui partono quei missili. Se non lo fa, è perché i suoi alleati occidentali hanno posto un limite all’utilizzo di quelle armi, vietandone l’uso oltre una certa distanza dal confine. Il Cremlino ha cosi spostato tutte le sue basi missilistiche dove non possono essere colpite, pur potendo invece continuare a colpire i civili ucraini e le infrastrutture energetiche vitali nel territorio invaso.
Questo veto degli alleati mirava probabilmente fin dall’inizio a non superare la linea rossa tracciata da Putin, per il quale non è accettabile qualsiasi esito del conflitto che non possa presentare al popolo russo come una vittoria. Il dittatore del Cremlino cerca infatti d’indurre l’Ucraina a una resa sostanziale pur sapendo che questo comporterà per la Russia dei costi enormi a livello economico e geopolitico. L’occidente, d’altro canto, ha accettato di rispettare questa linea rossa per non testare l’autenticità del ricatto nucleare messo in campo da Putin, confidando a sua volta di poter trarre comunque dalla situazione dei vantaggi consistenti, che in effetti sono stati puntualmente raggiunti: una minore dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia, un logoramento economico e militare di quest’ultima, la possibilità di saggiarne l’efficienza nell’uso di armi convenzionali e, soprattutto, l’allargamento della NATO con l’ingresso della Svezia e della Finlandia.
Leggi tutto: La sconfitta pilotata dell'Ucraina e la linea rossa di Putin
Dove vanno i liberaldemocratici?
In un articolo-saggio pubblicato sull’Espresso il 5 febbraio 1978 e intitolato Quel che resta e quel che è sparito, Vittorio Saltini sosteneva che, sulla spinta del 68, solo il gruppo radicale fosse stato davvero efficace, almeno in paragone alla sua forza numerica, nel rendere il nostro paese più civile e democratico: “senza troppe illusioni marxiste-operaie”, i radicali avevano infatti capito che la possibilità aperta dal '68 “era il mutamento del costume e quindi delle leggi che limitavano i diritti civili e con le loro iniziative, come ha mostrato il voto sul divorzio, hanno favorito la crescita di tutta la sinistra. L'efficacia dei radicali, malgrado i limiti della loro dirigenza, dà un'idea di quello che si sarebbe potuto fare dal '68 ad oggi, se migliaia di intellettuali e di giovani non si fossero dispersi nei sogni conformisticamente marxisti del Manifesto, di Avanguardia Operaia, Lotta Continua”.
Oggi, purtroppo, dopo la morte di Marco Pannella, anche le coraggiose battaglie radicali sembrano essersi dissolte in corollari effimeri del vasto e spesso affabulante tentativo di dare vita a un campo largo di una sinistra ormai a guida populista e islam-comunista. L’impressione è infatti che questa sinistra sia più intenta ad adornarsi di una contraddittoria miscela di ideali piuttosto che non ad affrontare in modo realistico le sfide che la nostra epoca ci pone di fronte. Una simile contraddittoria miscela può far sorridere chiunque nutra per tali ideali un sincero rispetto, mentre suscita ondate di opportunistico consenso in tutti coloro che vi intravedono un’occasione di riscatto elettorale. Certo, questi non sembrano dispiaciuti per l’evoluzione politicante di alcuni autorevoli esponenti di un partito che è davvero riuscito, nonostante le sue modeste dimensioni, a rendere negli anni 60 e 70 l’Italia un paese assai meno incivile e retrivo.
L'islam-comunismo e la stanchezza della democrazia
Secondo un sondaggio pubblicato dalla Bild Zeitung e rilanciato di recente da Italia Oggi, per i giovani islamici che frequentano il ginnasio o un istituto professionale nel Land della bassa Sassonia il Corano è più importante della legge tedesca. Il 45% dei ragazzi intervistati è convinto che uno Stato Islamico sia la miglior forma di governo possibile e il 35,3 si dichiara comprensivo verso chi ha commesso atti di violenza contro coloro che hanno offeso Allah o il profeta Maometto. Per il 31,3% è giustificata in generale anche la reazione violenta contro il mondo occidentale che minaccia i musulmani, mentre il 67,8% ritiene che le regole dettate dal Corano siano più importanti delle leggi tedesche. Inoltre, per il 51,5% solo l'Islam è in grado di risolvere i problemi del nostro tempo.
Trattandosi di un sondaggio condotto dal Kriminologische Forschung Institut, (Istituto di ricerca criminologica) non c’è motivo di dubitare della sua attendibilità, anche perché in fondo rimarca un fenomeno che non si discosta molto da quanto un comune cittadino europeo può comunque riscontrare in base alla sua esperienza e alle sue conoscenze. Considerando che si tratta di risposte formulate a freddo, senza cioè particolari pressioni ambientali, si può facilmente immaginare come potrebbero essere state in un periodo di stress socio-culturale maggiore, come per esempio se i giovani intervistati si fossero trovati costretti ad operare una scelta tra le leggi di uno Stato laico e democratico e quelle dettate dal Corano in un frangente storico in cui la propria comunità religiosa di riferimento fosse stata impegnata in un conflitto con quello Stato.
Leggi tutto: L'islam-comunismo e la stanchezza della democrazia
La poetica di Li Po, tra Confucio e Lao-Tzu
“Se la nostra vita fosse in ogni momento piena di senso, se il mondo fosse un giardino dove gli uomini, godendosi il sole, conversassero tutti amichevolmente, non ci siederemmo in un angolo a scrivere”. In fondo, questa semplice considerazione del narratore de Il primo libro di Li Po - il poeta vissuto 1200 anni fa (701-762 dopo Cristo) che costituisce insieme a Po Chui, Tu Fu e Wang Wei uno dei messimi classici della poesia cinese - potrebbe bastare a dar un’idea del senso della letteratura.
Li Po ammirava i paesaggi ed era solito passeggiare tra fertili pianure e montagne boschive: “su ponti oscillanti di legno, passava fra cime di pietra, vedeva strapiombi da cui balzavano le acque urlanti, mentre i banchi di nebbia s’arrampicavano sui fianchi frastagliati. O da alti valichi scorgeva, nelle pianure, laghi verde-azzurri e risaie allagate con le pozze d’acqua luccicanti al sole. Senza scendere dal mulo, a volte prendeva appunti o buttava giù una poesia. O fermata la bestia, schizzava a inchiostro l’impressione che uno scorcio di paesaggio gli faceva.”