La luce tra l'erba
I personaggi de La luce tra l'erba, che sono anche i suoi narratori,
sembrano animati dal desiderio di perdersi per poi ritrovarsi.
Le loro vite s’incrociano a Firenze, a Milano, a Roma, e
ancora a Praga e in Bretannia, a Parigi e New York, ma vi sono
echi della permanenza di qualcuno di loro anche a Madrid e in
Patagonia, a S.Pietroburgo e nelle isole Solovki, dove ancora
s’avverte l’alone della presenza di Pavel Florenskij.
Il narratore centrale, l’unico senza nome e in certo qual modo
“senza qualità”, può così tessere la sua tela tra luoghi evocativi
e simbolici, illuminando con lo sguardo della sua memoria
i resoconti di personaggi che, come altrettanti alberi lungo il
declivio di un rilievo erboso, sembrano allungare, verso la fine
della vicenda che li lega, le loro ombre una di fianco all’altra, sul
far della sera.
"Un racconto di sradicamento, malinconico e avviluppante",
Raffaele La Capria
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Qualche indizio di felicità
Se ti è capitato di provare simpatia per il battito del tuo cuore;
Se non è per te difficile dimenticarti in fretta dei torti subiti e non conosci il rancore;
Se hai percepito il silenzio della neve che cadeva come un messaggio segreto che l’Essere sussurrava alla tua anima;
Se sei consapevole che il male che possiamo fare o subire è solo un effetto dell’ignoranza e della paura;
Sei pensi che in fondo l’innocenza potrà sempre tornare ad affacciarsi nell'anima;
Se ti è capitato di guardare tutte le cose come se fossero le cose a guardare te, e come se fossero stupite e contente di vederti;
Se sei pronto a far schioccare le dita e a guardare la vita da un altro punto di vista e con uno sguardo nuovo;
Se non hai smarrito la voglia di giocare e sai talora prepararti a dormire come se stessi per iniziare un nuovo gioco;
Se ti sei accorto di poter essere veramente felice per la felicità di qualcun altro;
Se sei capace di provare gratitudine per chi ti ha aiutato a imparare la difficile arte di essere felice;
Se hai sperimentato e compreso che anche il dolore può contenere una promessa di felicità;
Se hai condiviso anche soltanto una di queste esperienze, di questi stati d’animo o di queste convinzioni, allora la possibilità di mantenere la promessa di felicità che, in un tempo più o meno remoto e in maniera forse inconsapevole, hai fatto a te stesso non ti sarà mai preclusa.
If you happened to feel sympathy for the beating of your heart;
If it is not difficult for you quickly forget the wrongs and you don’t know the bitterness;
If you felt the silence of the falling snow as a secret message that Being whispered into your soul;
If you are aware that the evil we can do or be just a result of ignorance and fear;
If you think that at the end the innocence will always be able to lean back in your soul;
If you happened to look at things as if they were things to look at you , and as if they were surprised and happy to see you;
If you're ready to snap your fingers and look at life from another point of view and with a new look;
If you have not lost the desire to play and you know sometimes you prepare to sleep as if you were to start a new game;
If you realize you can be truly happy for the happiness of someone else;
If you are able to feel gratitude for those who helped you to learn the difficult art of being happy;
If you have experienced and understood that the pain may also contain a promise of happiness;
If you shared even one of these experiences, of these moods or beliefs, then the ability to deliver on the promise of happiness that, in a more or less remote time and in a perhaps unconscious way, you did to yourself, will never be precluded.
Un ottimo giorno per non pensare
L'idea fissa, o due uomini al mare, testo per lo più trascurato dagli stessi studiosi di Paul Valéry, era al contrario considerato dall'autore una delle sue opere più significative. Dopo la pubblicazione presso Adelphi della traduzione dei suoi Cahiers, è stato riproposto dalle stesse edizioni, per l’ultima volta e in seconda ristampa, nel 2008. Come sottolinea nell’introduzione Valerio Magrelli, traduttore e curatore del volume, quest’opera costituisce un succinto repertorio tematico dell'opus postumum di Valéry. Allo stile diaristico o saggistico dei Cahiers, qui si sostituisce però quello dialogico, che i due protagonisti, un letterato e un medico, interpretano con agilità incalzante e laconico eloquio.
Si tratta di una storia di distrazioni, di azioni diversive e meccaniche che sono meri pretesti per ingannare il tempo e privare la res cogitans cartesiana di uno dei suoi due requisiti fondamentali: quello di pensare sempre. Ovvero, si tratta di creare dei vuoti, o delle sospensioni del pensiero. Con l’altro requisito della stessa res cogitans, quello d’essere autocosciente, sembra esserci invece poco da fare, dato che è difficile sbarazzarsene a comando. Ma bando alle ciance: in breve, ecco dunque quanto accade, o anzi non accade, dato che qui gli accadimenti sono privi di rilievo.
In una bella mattina il narratore cammina adagio nel tentativo di rallentare il corso dei propri pensieri. Questi si succedono troppo in fretta e rinunciano a svilupparsi compiutamente, sovrapponendosi e urtandosi con insistente disagio. In prossimità del mare, lungo un molo, il solitario passante decide quindi di combattere la propria angoscia con qualche istinto potente e semplice e mettendosi così a saltare da un masso all'altro impegna la propria coscienza in un'assidua sorveglianza dei propri muscoli, che si slanciano in passaggi sempre più rischiosi. Tuttavia, tra una difficoltà e l’altra, in quel breve lasso di riposo che segue allo sforzo, il narratore percepisce che l'assurdo è sempre in agguato.
Da ogni lieve rilassamento della sua tensione atletica trapela di nuovo il vortice delle congetture interrotte, che risucchiando come un buco nero la coscienza, la incaglia in soffocanti acrobazie spirituali. Forse un pensiero s'interrompe perché, scorgendo in anticipo il proprio esito, ne percepisce la ritorsione prospettica sull'Io, al quale conviene, per non lasciarsi sorprendere in una posizione sgradevole o vacua, mutare repentinamente la propria angolazione. Purtroppo però, man mano che le congetture si affrettano in percorsi sempre più esili, l'Io stesso si fa inconsistente: si rivela, come Valéry lo definisce nei Cahiers, un punto fittizio e un'invenzione enorme. Per fortuna, mentre la concentrazione del narratore sul proprio corpo diviene sempre più fragile e il rumore del mare incombe vittorioso, quasi felice, a scandire il frangersi dei suoi pensieri, il frastornato atleta intellettuale scorge, tra due dadi di cemento, un uomo apparentemente intento a dipingere e/o pescare.
In realtà quell'uomo, un medico, sta solo fingendo di fare entrambe le cose. Perché finge? È un modo come un altro per tentare di non pensare, dato che il fingere di fare qualcosa dovrebbe, nelle sue intenzioni, contribuire a placare il moto perpetuo della sua intelligenza. I due si presentano, e non appena constatano l'affinità delle loro condizioni danno vita ad un dialogo lucido e teso, a tratti euritmico, incrociando le loro riflessioni senza intenzione polemica, attratti entrambi dai riflessi filosofici che osservano sul filo, a volte paradossale, della loro logica. A poco a poco s'intendono alla perfezione e assorbiti dal piacere d'anticiparsi a vicenda, soddisfatti di potersi alternare nella tessitura delle più svariate elucubrazioni, pare che riescano a sciogliere se stessi dal gravoso assemblaggio d'idee e d'associazioni che li pervade. Così, reggendosi reciprocamente la tela su cui tracciano, con poche linee sapienti, una sorta di senso complessivo del nonsenso, a poco a poco anche i loro rispettivi “io”, o almeno i resti di queste enormi invenzioni, sembrano disperdersi nell’aria e trasvolare il mare.
Paul Valéry, L’idea fissa, a cura di Valerio Magrelli, Piccola biblioteca Adelphi, 2008, 2ª ediz., pp. 152.
Quel che esiste è l'uomo umano: traversia
Rispetto ad altri scrittori dell’America latina decisamente più letti e più famosi, come il brasiliano Jorge Amado o il columbiano Gabriel Garcia Marquez, a Joao Guimaraes Rosa mancano forse i requisiti favorevoli a un successo ampio e rapido. Rispetto al primo non ha per esempio lo stile da sceneggiatore ed il gusto per il giuoco folclorico, rispetto al secondo manca dell’accattivante combinazione di personaggi surreali con le evoluzioni fantastiche della storia. Tuttavia, nonostante l’assenza di tali requisiti, il suo maggiore romanzo, Grande Sertao, ha avuto la prerogativa di dare vita a due schiere di lettori: coloro che lo considerano uno dei più grandi romanzi del nostro secolo e quelli che non hanno superato, nella più ottimistica delle ipotesi, le prime settanta pagine.
Pur evocando i modelli narrativi tipici dell’epica classica, Grande Sertao rimane infatti – come ebbe a definirlo lo stesso Guimaraes Rosa - un libro “diverso e terribile, consolatore e strano. […] Gli uomini non muoiono, restano incantati”, disse lo stesso Guimaraes Rosa al termine del discorso che lo insediava all’accademia brasiliana delle lettere, poche ore prima della sua morte; e non si trattava di un pensiero solo occasionale: il restare incantati è infatti uno dei temi dominanti di tutta la sua opera, e in particolare di questo romanzo, dove si può rimanere incantati ad ogni riga. Grande Sertao è una storia di briganti, di uomini in guerra, di donne appena intraviste; è la storia di un ex bandito, Riobaldo, raccontata da lui stesso ad un dottore silenzioso in viaggio nel Sertao, che non chiede mai nulla e che nella traduzione italiana è chiamato Vossignoria.