• Home
  • Saggi
  • Narrativa
  • Esercizi di lettura
  • Hanno scritto su...
  • Nota bio-bibliografica
  • Link
  • image
  • image
  • image
  • image
  • image
  • image
  • image
  • image
  • image
  • image
  • Immagne1
  • image
  • image
  • image
  • image
  • Immagine2
  • image

Menu Principale

  • La luce tra l'erba
  • Macedonio
  • Poesie
  • Arte
  • Politica e società
  • Scritti di amici
  • De Ludo Globi
  • Home
  • Saggi
  • Narrativa
  • Esercizi di lettura
  • Hanno scritto su...
  • Translations
  • Nota bio-bibliografica
  • Scuola
  • Cinema e filosofia
  • English c.v.
  • Link
  • Contatti
  • Fotocommunity
  • The parliament of the World

Random Tag

Einstein Amore Vedere Puskin Musil Vocazione Gadamer Lispector Tolstoj Pollock Vincent Descombes Colpa Wittgenstein Goethe Nabokov Anna Frank Vito Mancuso Renzi Mario Tobino Bertrand Russell Franco Petroni Fabrizio Puccinelli Scuole Calcio Evoluzionismo

Keynes, il leninismo e i destini del capitalismo

  • Stampa
  • Email

 

   Bertrand Russell racconta che ogni volta che andava a cena con John Maynard Keynes gli sembrava di essere completamente stupido. Di certo, la conversazione con quello che è considerato da molti il più grande economista del secolo scorso non doveva risultare noiosa o poco interessante, né priva di osservazioni acute e lungimiranti sul presente e sul futuro. Alcune di queste furono raccolte in volume per il lettore italiano già nel 1968, per essere riproposte in una nuova edizione tre anni fa (J. M. Keynes, Esortazioni e profezie, Il saggiatore, Milano, 1917).

    In uno dei brevi articoli contenuti nel volume, che s’intitola Breve sguardo sulla Russia d’oggi, Keynes si sofferma ad analizzare la situazione nella Russia sovietica nel 1925, e cioè un anno dopo la morte di Lenin, quando ancora l’arcipelago Gulag non esisteva. Come altre religioni nuove, secondo Keynes il leninismo “non deriva il suo potere dalla moltitudine, ma da una piccola minoranza di convertiti entusiasti. […] Come altre religioni nuove, perseguita senza giustizia o pietà chi le resiste attivamente” ed “è privo di scrupoli”, “pervaso da ardore missionario e da ambizioni ecumeniche”. In fin dei conti, tuttavia, l’affermare che “il leninismo è la fede di una minoranza di fanatici che perseguitano e fanno proseliti, guidati da ipocriti, significa dire, né più né meno, che è una religione, e non soltanto un partito, e che Lenin è un Maometto e non un Bismarck”.

  • Capitalismo
  • Keynes
  • Leninismo

Leggi tutto: Keynes, il leninismo e i destini del capitalismo

Lord Byron, un antiromantico travolto dal romanticismo (parte II)

  • Stampa
  • Email

di Claudia Cardella (continua)

 

Un altro elemento che senza dubbio fa di Byron un romantico un po’ insolito, dopo l’ammirazione per Pope e la sua parzialità per il genere satirico, è la particolare importanza che egli dà al realismo, inteso sia come verosimiglianza delle descrizioni di luoghi e di aspetti di un determinato ambiente, sia come aderenza alla realtà, ai fatti e alle esperienze vissute. È stato fatto notare da Diego Saglia che, nell’introduzione che Byron fa della “oriental tale” The Bride of Abydos, con tutte quelle “immagini ricche di colori, suoni e profumi”, il poeta esibisce con noncuranza alcuni aspetti di un oriente già noto ai lettori inglesi.1 Byron effettivamente sfruttava immagini ed elementi che facevano parte di un immaginario comune, o quantomeno che erano noti, come nel caso dei racconti orientali, dove si ritrovano, per l’appunto, elementi che già venivano associati all’immagine idealizzata dell’Oriente. Tuttavia, non bisogna dimenticare che lo stesso, attraverso, ad esempio, questo elenco che troviamo nei primi versi di The Bride of Abydos, i cui elementi non s’immaginano in un paesaggio concreto, ma creano piuttosto un’atmosfera, sta richiamando fantasmi di luoghi e di cose che egli aveva visto personalmente. Dopotutto, la sua conoscenza diretta dei luoghi e delle cose di cui parlava era ciò che lo distingueva da altri autori che descrivevano l’oriente, ed era anche ciò che lo rendeva particolarmente orgoglioso, se non presuntuoso, dal momento che egli dava una certa importanza a questo fatto.

 

Byron, infatti, non solo considerava importante una certa aderenza alla verosimiglianza, la menzione della quale, a chi ha familiarità con l’aneddotica byroniana, non può non ricordare la sprezzante osservazione sul “western sky” con la sua peculiare “tint of yellow green” di Coleridge.2 Nella prefazione ai primi due canti di Childe Harold, egli introduce il discorso dicendo che il poema è stato composto mentre l’autore si trovava in buona parte dei luoghi che vi vengono descritti, e che le parti relative alla Spagna e al Portogallo sono basate su delle osservazioni fatte personalmente da lui stesso. Dopodiché spiega: “Thus much it may be necessary to state for the correctness of the descriptions”.3 Una tale attenzione al realismo, nonché una prefazione in cui si intende sottolineare come l’elemento più importante del poema sia non la storia, bensì i luoghi in cui il pellegrino fittizio si sofferma, difficilmente si possono ricondurre all’orrore di Byron per le critiche, che pure dà quel tono particolare, tra l’arrogante e il seccato, a molti suoi scritti introduttivi. Ad aumentare l’impressione che si tratti di una reale puntigliosità di Byron vengono anche le note e le parti in prosa relative ai due canti del poema, le quali sono copiose e riportano diverse osservazioni di carattere descrittivo, folkloristico, storico, cronachistico e di altro genere.

Leggi tutto: Lord Byron, un antiromantico travolto dal romanticismo (parte II)

Lord Byron, un antiromantico travolto dal romanticismo (parte I)

  • Stampa
  • Email

 (“Swept into the camp of the Romantics”)

  
 di Claudia Cardella

 

“L’epiteto romantico e l’antitesi classico-romantico sono approssimazioni da lungo tempo entrare nell’uso. Il filosofo le mette solennemente alla porta esorcizzandole con logica che non erra, ed esse rientrano chete chete per la finestra, e son sempre lì tra i piedi, elusive, assillanti, indispensabili; il retore cerca di dar loro stato, grado e inamovibilità, ed ecco, alla fine di travagliose costruzioni, s’accorge d’aver trattato ombre come cose salde”.[1] Così Mario Praz introdusse un discorso a proposito della funzione e della quasi necessità di due “etichette”, cioè romantico e quella che qui, per comodità, ribattezziamo opposto a romantico. Si tratta di due etichette l’utilità delle quali è innegabile, soprattutto se, come in questo caso, si devono segnalare delle caratteristiche atipiche. Tuttavia, esse tendono a dare l’impressione che si stia parlando di quadri omogenei, nei quali tutto è in armonia con i connotati di una o dell’altra categoria. E invece bisogna tenere presente che queste etichette, solitamente, indicano piuttosto delle caratteristiche comuni, la presenza delle quali mette in relazione un autore, le sue opere, il suo pensiero, con una categoria o con un’altra.

 Ricordare ciò è particolarmente importante quando si parla di una figura complessa e contraddittoria come quella di Lord Byron. La sua figura e le sue opere sono indubbiamente fra le più note della letteratura romantica inglese; e infatti, esse vi rientrano a pieno titolo. Tuttavia, la sua notorietà di autore e di personaggio romantico impedisce di coglierne le sfumature. Notorietà dovuta non solo al fatto che, Byron ancora vivente, la fama di lui stesso e delle sue opere raggiunse dimensioni eccezionali, o perché l’immediata ricezione delle opere, in particolare Childe Harold’s Pilgrimage, fece sì che il giovane lord continuasse ad essere pensato come un autore e un personaggio romantico. Infatti, vi fu tutto il contributo di un immaginario collettivo, il quale accolse e nutrì la nota leggenda byroniana. Sin da subito, Byron venne confuso con il suo eroe, il cupo e malinconico Harold: da lì, l’immagine leggendaria e idealizzata si amplificò, cioè divenne man mano sempre più complessa, fino a creare un personaggio che ha affascinato un’intera generazione, alimentandone le fantasie e fornendogli dei modelli. Si pensi al Vampiro di John William Polidori, il quale, sin dal primo momento, venne recepito sia come un ritratto di Byron sia, al tempo stesso, come qualcosa che era uscito dalla sua penna: il racconto, infatti, venne pubblicato anonimo. Ma anche ai dipinti di Delacroix, ad un classico della narrativa come Il Conte di Montecristo di Dumas padre, oppure all’Evgenij Onegin di Puškin. Tutte queste opere, che erano allora e ancor oggi restano famose, testimoniano ognuna a modo suo la ricezione di Byron e della sua opera come qualcosa di seducentemente romantico. Nonché il suo ruolo di modello, sia come poeta sia come personaggio.

Leggi tutto: Lord Byron, un antiromantico travolto dal romanticismo (parte I)

Pentimento e perdono

  • Stampa
  • Email

   Intorno a La fragilità del male di Dietrich Bonhoeffer.


   “Chi ama non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,” si legge nella Prima lettera ai Corinzi (13:5), e Dietrich Bonhoeffer, ne La fragilità del male, prende spunto da questo passo per osservare che, mentre la giustizia sembra illuminarci la strada “determinando il bene e il male, l’amore al contrario è cieco, consapevolmente cieco. Vede il male, ma non ne tiene conto: perdona. Soltanto l’amore può farlo. Dimentica. Non serba rancore”. Questo costituisce a suo avviso, e certo non solo per lui, un punto centrale per il cristianesimo: “se solo comprendessimo questo concetto: l’amore non serba rancore. Ogni giorno è un giorno nuovo che affronta con rinnovato sentimento, dimenticando il passato. Per questo motivo gli uomini si fanno beffe di lui, lo scherniscono. E nonostante questo continua ad accrescersi sempre di più”.
   Gesù dice anche a Pietro di perdonare non “fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Matteo, 18: 21-22) e ciò perché “perdonare e scusare non sono azioni che si contano o che hanno un limite. Non preoccuparti se hai ragione oppure no. Spetta a Dio decidere. Tu puoi farlo senza fine, perché il perdono non ha inizio e non ha termine. Si verifica quotidianamente e di continuo, perché proviene dal Signore. È la liberazione da ogni ostilità nei confronti del prossimo, perché così siamo liberati da noi stessi. Dobbiamo rinunciare al nostro proprio diritto per aiutare e servire l’altro”.

  • Bonhoeffer
  • Grazia
  • Perdono
  • Pntimento

Leggi tutto: Pentimento e perdono

La demofollia e la fragilità della nostra democrazia

  • Stampa
  • Email

  

   Tra i vari libri scritti da Michele Ainis Demofollia è certamente quello che anticipa di più il proprio contenuto nel suo titolo. Poiché all’interno di questo saggio brillante gli argomenti che costituiscono altrettanti indizi di demofollia spaziano dai referendum alla burocrazia, dalle leggi che dovrebbero tutelare dalle fake news e garantire la privacy fino all’immigrazione, allo Jus soli e ai recenti sistemi elettorali nostrani, ci limiteremo qui a trattarne solo due particolarmente insidiosi per la democrazia.

    Il primo riguarda le condizioni in cui versa il nostro sistema giudiziario, specialmente alla luce dei sospetti circa la sua crescente politicizzazione: in virtù della concorrenza fra partiti, sindacati e associazioni, la magistratura, e in particolare il suo consiglio superiore, paiono sempre più caratterizzati da un pluralismo politicamente non neutrale e partigiano. Si sono infatti formati dei “piccoli partiti giudiziari, ciascuno con i propri capi e sottocapi” che rischiano di subordinare l’indipendenza della magistratura agli interessi della politica.

   Ebbene, come si potrebbe scongiurare l’eventualità di un consolidamento di un simile scenario anche all’interno del Csm? Secondo Ainis sorteggiando i suoi componenti, cioè formando “per sorteggio la delegazione di 16 togati (gli 8 membri laici li elegge il Parlamento) che rappresentano la magistratura italiana all’interno del Consiglio. Ovviamente con taluni accorgimenti, con un sorteggio, per così dire, ‘pilotato’. Ma tagliando alla radice gli scambi di voti e di favori che circondano ogni tornata elettorale. Del resto, sono elezioni per modo di dire. L’ultimo Csm – continua Ainis spiegando la sua proposta – è figlio d’una scelta fra 21 candidati, appena 5 in più dei posti in palio. Evidentemente l’accordo fra correnti giudiziarie precede l’elezione stessa, la rende in qualche misura irrilevante. Da qui la proposta avanzata dal primo governo Conte nel luglio 2019: una prima fase attraverso l’uso del sorteggio, selezionando un numero di candidati cinque volte superiore ai seggi; poi l’elezione dei nuovi consiglieri. Da parte loro, – continua Ainis -  il presidente dell’Anm e il vicepresidente del Csm dichiarano all’unisono: il sorteggio sarebbe una soluzione irrazionale. Ma allora è irrazionale pure la Costituzione, che ne prescrive l’uso per aggiungere 16 membri alla Consulta, quando giudica sui reati del capo dello Stato (articolo 135). E la Consulta è il massimo tribunale del Paese, mentre Mattarella è il primo magistrato; l’una e l’altro pesano più del Csm”.

  • Burocrazia
  • Democrazia
  • Demofollia
  • Michele Ainis

Leggi tutto: La demofollia e la fragilità della nostra democrazia

Leibniz, Kant e il rapporto della filosofia con le scienze secondo Ernst Cassirer

  • Stampa
  • Email

 

   Sigmund Freud sostiene che Leibniz sia stato l’ultimo uomo ad aver saputo tutto. Dopo di lui, già con l’Enciclopedia divenne chiaro che lo scibile umano non potesse più essere padroneggiato da una mente sola. La filosofia, che fino a quel momento era stata una sorta di coordinatrice generale di tutte le attività di ricerca nei campi più disparati, perse questa funzione. La “vecchia metafisica” – come la chiama Hegel – che aveva svolto quella funzione più di ogni altra sua componente e che per Cartesio ne costituiva il fusto centrale, venne da Kant relegata nell’alveo delle attività pseudoscientifiche, buona tutt’al più a mostrare l’aspirazione legittima e profonda dell’anima umana a conseguire un sapere assoluto e incondizionato. Da questo punto in poi, il rapporto tra la filosofia e le scienze particolari sarà sempre più problematico e incerto.

   Con Kant, la filosofia si emancipa definitivamente dalla teologia: se infatti una volta si poteva eventualmente “convenire con l’orgogliosa pretesa della facoltà teologica di considerare quella filosofica la sua ancella”, dopo Kant è rimasta aperta la questione se “l’ancella precedesse la sua graziosa signora con la fiaccola o le reggesse lo strascico”. Ma nel secolo dei lumi, secondo Ernst Cassirer, non solo la filosofia si emancipa definitivamente dalla teologia, ma si trova anche a dover ripensare radicalmente le proprie relazioni con le altre scienze particolari.

  Tali relazioni costituiscono il filo rosso che lega insieme i quattro saggi brevi di Ernst Cassirer raccolti nel volume che qui presentiamo (Ernst Cassirer, Kant e la biologia moderna e altri scritti, a cura di Riccardo De Biase, Marchese editore, Grumo Nevano (Na), 2014). Esse risultano, dopo Kant, sempre più precarie, in quanto pare sempre più incrinarsi la fiducia nella possibilità di una connessione sistematica del sapere e nell’esistenza di uno spazio intellettuale omogeneo. Mentre nei sistemi del razionalismo classico, per esempio, “la filosofia appariva come la portatrice della fiaccola della scienza, le mostrava i fini e le batteva le vie. Al contrario, nell’interpretazione del positivismo, veniva sempre più sospinta al rango di semplice seguace, seguiva la scienza come ‘lo spigolatore segue il mietitore’. Ma, in linea di principio, è possibile – e questa è secondo Cassirer la vera svolta post-kantiana – anche un terzo tipo di rapporto. La filosofia odierna non può tornare indietro a quell’ideale di ‘dottrina della scienza’, come aveva indicato ancora Fichte nel suo scritto Sul concetto di dottrina della scienza; non può mostrare un sommo, incondizionatamente certo principio metafisico per ricavare da questo, facendone discendere deduttivamente secondo forma e contenuto, il tutto del sapere. E tanto meno può essere compito della filosofia tentare di pacificare le lotte interne che sempre di nuovo si aprono e si mostrano nelle scienze, per portarvi pace attraverso rapide soluzioni. Essa, piuttosto, sta nel mezzo di queste lotte, non potrà né vorrà altro che stare in mezzo a loro in quanto co-disputatrice. Invece di superare le opposte posizioni mediante un’affermazione di potenza del pensiero, o di fare il tentativo di conciliarle mediante qualche semplice compromesso, la filosofia deve, piuttosto, renderle trasparenti in tutta la loro serietà e in tutto il loro peso” (ivi, pp. 39-40).

  • Cassirer
  • Evoluzionismo
  • Kant
  • Leibnz

Leggi tutto: Leibniz, Kant e il rapporto della filosofia con le scienze secondo Ernst Cassirer

Altri articoli...

  1. Piero Martinetti, Simone Weil e l'attualità del marcionismo
  2. La segreta alleanza di prosperità e giustizia
  3. Il coefficiente di Gini e un'idea liberale di giustizia
  4. Storie di fate, di eremiti e di pulcini d'oro
  5. Borges, Macedonio e la Belarte

Pagina 1 di 8

« InizioPrec12345678SuccFine »


Powered by Joomla!. Design by: themza joomla 2.5 themes  Valid XHTML and CSS.