Borges, Macedonio e la Belarte
Macedonio Fernández <<precursore>> di Borges in un saggio di Daniel Attala
Quando in qualche scritto si parla di Macedonio Fernández è ormai invalsa la consuetudine di chiamarlo per nome, al contrario di quanto si fa normalmente con tutti gli altri autori dotati di un cognome. Si deve probabilmente a Jorge Luis Borges quest’abitudine, che contribuisce a rendere Macedonio subito familiare a chi si avventura nei suoi scritti, sebbene contengano tesi desuete e assai sorprendenti.
Borges eredita l’amicizia di Macedonio da sua padre, ma ancor prima di essere un suo amico, Macedonio fu per lui un maestro influente, tanto da indurlo a rilevare che nessuna persona famosa lo aveva “mai impressionato come lui, neppure in modo analogo. Cercava di nascondere, non di sfoggiare, – scrive Borges - la sua straordinaria intelligenza; parlava come ai margini del dialogo, eppure ne era il centro. Preferiva il tono interrogativo, il tono di modesta consultazione, piuttosto che l’affermazione magistrale. Non pontificava mai: la sua eloquenza era di poche parole e perfino di frasi lasciate a mezzo. Il tono abituale era di cautelosa perplessità”.[1] L’insieme di queste ed altre prerogative del suo amico e maestro lo porteranno poi a dire, e lasciar scritto sulla sua tomba, che il non imitarne il canone, letterario e filosofico, avrebbe costituito “un’imperdonabile negligenza”.[2]
Macedonio, dal canto suo, “paragona Borges al poeta spagnolo J.R. Jimenez: <<tanto intelligente quanto dolorante di passione e vita, che sembra preoccuparlo>>. L’intelligenza è in effetti, secondo Macedonio, l’unico talento di Borges visibile nella sua letteratura; si tratta però, a suo avviso, di “un talento pratico, d’una muscolatura dell’anima senza interesse per l’Arte, né più né meno che le capacità dell’atletismo”.[3]
Ma se Borges è per Macedonio il poeta dell’intelligenza, è anche paragonabile a Goethe, il quale, pur essendo non meno intelligente, avrebbe disdegnato tuttavia questo talento non facendone mai sfoggio, né diretto né indiretto.[4] Per quanto questo paragone con Goethe sia sfavorevole a Borges, secondo Daniel Attala - maestro di conferenze all’università di Bretagna Sud e autore, tra l’altro, di questo Macedonio Fernández <<précurseur>> de Borges, (Press Universitaires de Rennes, 2014) - esso nasconde e a un tempo rivela l’alta opinione che Macedonio si era fatto di lui, giudicandolo, quando aveva solo venticinque anni, come “il prosatore più dotato della lingua spagnola (di tutti i tempi – chiosa Attala, dato che non mette limiti all’elogio)”.[5]
Tutta l’opera di Borges è attraversata dall’idea che l’io non esista, o che sia un’illusione: questa tesi gli è suggerita dal Buddhismo, da Schopenhauer e da Hume, ma ancor più direttamente proprio da Macedonio, per il quale c’è umanità solo laddove la passione intacchi il solipsismo di ciascuno e dove venga meno il legame tra la coscienza e il corpo. Ogni volta che parla di passione, riferendosi alla traslazione del vissuto di un io apparente dentro un altro io apparente, Macedonio evoca questa convinzione, che costituisce il terreno fertile per l’insorgere di una forma peculiare di misticismo, a sua volta fondata su una concezione precisa quanto radicale dell’amore.
Non c'è nulla d'estraneo e tutto è uguale nella società della stanchezza
La nostra è una civiltà della stanchezza. È quanto risulta dalla lettura di un saggio del filosofo coreano Byung-Chul Han, docente alla Unibesität der Künste di Berlino e già autore, oltre che de La società della stanchezza (Nottetempo editore), di diversi altri saggi capaci di far riflettere su temi attuali in maniera poco convenzionale.
Secondo Byung-Chul Han il millennio da poco iniziato “non è caratterizzabile in senso batterico o virale, quanto piuttosto in senso neuronale. Malattie neuronali come la depressione, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) 2, il disturbo borderline di personalità (BPD) o la sindrome da burnout (BD) connotano il panorama delle patologie tipiche di questo secolo. Non si tratta di infezioni, piuttosto di infarti che non sono causati dalla negatività di ciò che è immunologicamente altro, ma sono determinati da un eccesso di positività. Queste sindromi si sottraggono a qualsiasi tecnica immunologica che miri a respingere la negatività dell’Estraneo”.
L’Estraneo e l’Eguale sono due categorie fondamentali per comprendere l’evoluzione della società in cui viviamo, così come la nozione di reazione immunitaria, che consente di declinare la relazione tra queste due nozioni estreme e contrapposte. Secondo l’autore “ogni reazione immunitaria è una reazione all’alterità. Oggi, invece, al posto dell’alterità abbiamo la differenza, che non provoca alcuna reazione immunitaria. La differenza post - immunologica, anzi post - moderna, non è più causa di malattia. Dal punto di vista immunologico essa è l’Eguale (das Gleiche). Alla differenza manca, per così dire, il pungolo dell’estraneità che provocherebbe una violenta reazione immunitaria. Anche l’estraneità si stempera in una forma di consumo. L’estraneo cede il passo all’esotico, visitato dal turista”.
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Il signor Ga e il dottor Therapeutica
di Macedonio Fernández
Il signor Ga era stato un paziente così assiduo, docile e costante del dottor Therapeutica che adesso era solo un piede. Con denti, tonsille, stomaco, reni, polmoni, milza, colon successivamente rimossi, ora arriva il cameriere del signor Ga a chiedere al dottor Therapeutica di occuparsi del piede del signor Ga, e il dottore lo manda a chiamare.
Il dottor Therapeutica esamina attentamente il piede e scuotendo gravemente la testa così sentenzia: - C'è troppo piede, non c'è da stupirsi che si senta male: disegnerò il taglio necessario, per un chirurgo.
El señor Ga había sido tan asiduo, tan dócil y prolongado paciente del doctor Terapéutica que ahora ya era sólo un pie. Extirpados sucesivamente los dientes, las amígdalas, el estómago, un riñón, un pulmón, el bazo, el colon, ahora llegaba el valet del señor Ga a llamar al doctor Terapéutica para que atendiera el pie del señor Ga, que lo mandaba llamar.
El doctor Terapéutica examinó detenidamente el pie y “meneando con grave modo” la cabeza resolvió: “Hay demasiado pie, con razón se siente mal: le trazaré el corte necesario, a un cirjano”.
Letteratura, scuola e democrazia
In un racconto di Jorge Luis Borges, Il Sud, il protagonista sta leggendo un libro in un locale quando viene sfidato a duello da due individui che sono infastiditi proprio dal fatto che sta leggendo. Nella sua prefazione a La città assente, un romanzo di Riccardo Piglia - che fino a pochi anni fa è stato uno degli scrittori e critici letterari più influenti in Argentina - Tommaso Pincio racconta che una sera, verso mezzanotte, mentre da Trastevere si stava dirigendo verso il rione Regola leggendo un libro, fu affrontato e preso a male parole da un gruppo di giovani che erano infastiditi, anche in questo caso, dal fatto che stesse leggendo. Quando riuscì, con una discreta dose di sangue freddo, ad attraversare incolume il gruppo cha lo aveva per qualche istante circondato sentì che dietro ancora gridavano: “legge ancora, lo scemo. T’ammazziamo di botte, ti pestiamo a sangue”.
La città assente è un libro in cui i protagonisti entrano ed escono dalla trama e che mentre incontrano amici o sconosciuti attraversano porte che li conducono in altre trame e in altre storie, come chi odia i libri, o è loro indifferente, non potrà mai fare altrettanto bene. La concezione narrativa su cui si fonda il romanzo di Piglia deriva in parte dall’opera di Macedonio Fernández, ma esso trae qualche ispirazione anche da Notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino e da Tlön, Uqbar, Orbis Tertius di Borges. “Mi piaceva l’idea – scrive Piglia nella postfazione alla sua opera – di una trama che è come una strada: apri una porta e all’improvviso la tua vita è completamente diversa. È da qui, forse, che è nata la mia decisione di usare la città come metafora dello spazio del romanzo”.
Sempre nella stessa postfazione, Piglia spiega come la letteratura sia in grado d’interrompere il flusso della lingua, di alterarne le consuetudini espressive e i riferimenti valorali in essa impliciti ed è dunque perfettamente normale che possa essere avvertita come un pericolo. Su questo tema, del resto la stessa letteratura si è intrattenuta più volte, anche con delle opere che sono divenute dei classici, come ad esempio Fahrenheit 451, in cui Ray Bradbury descrive una società in cui leggere o possedere libri è considerato un reato grave.