In mezzo a un guado, sospesi tra due etiche
Un anno prima della sua morte, avvenuta il 14 giugno del 1920 a Monaco di Baviera, Max Weber tenne in quella stessa città una conferenza divenuta poi famosa. Tale conferenza s’intitolava la Politica come professione (Beruf, che dal tedesco si può tradurre sia con il termine “professione” sia con “vocazione”) e vi si affrontava il tema, classico e sempre cruciale, dei rapporti fra etica e politica. Per spiegare questi rapporti Weber ricorre alla distinzione fra etica della convinzione ed etica della responsabilità.
L’etica della convinzione, o dei principi, (Gesinnungsethik) è un’etica assoluta, di chi opera solo seguendo principi ritenuti giusti in sé, indipendentemente dalle loro conseguenze. In base questo tipo di etica un certo principio dev’essere seguito a qualsiasi costo: “avvenga quel che avverrà, io devo comportarmi così”. Invece, l’etica della responsabilità (Verantwortungsethik) è più pertinente alla politica e tiene conto delle presumibili conseguenze delle scelte e dei comportamenti che l’individuo ed il suo gruppo di appartenenza mettono in atto.
Abraham Yehoshua, il sionismo e la vocazione totalitaria dell'antisemitismo
In Totem e tabù Sigmund Freud sosteneva di avere in sé molti tratti caratteristici dell’ebraismo, e soprattutto “il principio fondamentale”. Pur non riuscendo a formularlo a parole, confidava però che un giorno la ricerca scientifica lo avrebbe chiarito. Per comprendere questo “principio fondamentale”, in Antisemitismo e sionismo Abraham Yehoshua - il grande scrittore israeliano autore di alcuni capolavori della letteratura di ogni tempo, come per esempio L’amante, Il signor Mani e Ritorno dall’India - sostiene che può rivelarsi utile la comprensione della radice dell’antisemitismo: questa ci aiuterebbe infatti “a sciogliere in qualche modo il groviglio del «mistero» dell’identità ebraica”.
Un testo da cui l’analisi Yehoshua prende le mosse per comprendere, mediante lo studio delle ragioni dell’antisemitismo, l’identità ebraica è il Libro di Ester, scritto da ebrei per altri ebrei in un periodo oscillante tra il IV e il II secolo a.c.. Si tratta di un testo canonico, parte integrante delle Sacre Scritture, che gli ebrei rileggono ogni anno nelle sinagoghe. In quest’opera è reperibile la tesi, enunciata per bocca di Hamam, che il popolo ebraico è diverso dagli altri fra i quali vive e che “la religione ebraica non potrà venire adottata da altre nazioni, come avviene per la greca, ad esempio, comune a molti popoli dell’epoca”.
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La polvere di un senso, tra spilli di parole
Damema Papini y von Marcard è una pittrice nativa di Ibiza, ma da molti anni residente in Toscana. I suoi dipinti sembrano riprendere un discorso rimasto in sospeso agli inizi del Novecento. In particolare, vi si possono riconoscere distintamente echi di Matisse, i suoi colori e il suo gusto per la narrazione di storie con poche figure capitate quasi per caso nel destino dello stesso quadro, tutte più o meno trasognate e luminose.
In virtù di un destino non meno ricco di colori e di luce la pittrice è anche scrittrice, autrice ad oggi di un romanzo (La mia isola e di Tito, 2008) e di due volumi di poesie. Tenere tenebre è la sua ultima silloge pubblicata (la prima, La stanza dei cigni, è uscita nel 2023) ed è attraversata dalla storia di un dolore avvolgente, trattato senz’ombra di retorica, e dagli screzi con la vita di ogni giorno, nella casa di campagna di ogni giorno, con le figlie da accompagnare, con la maggiore che scrive da remoti lidi, con una cucciola che soggiorna talora fradicia ai piedi di un divano e un piccolo principe con cui filosofare insieme guardando le stelle.
Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung
All’inizio degli anni 70 ci sembrava normale partecipare a riunioni in una sala fumosa dove campeggiavano, dietro un tavolo con delle sedie, due gigantografie, rispettivamente di Josif Stalin e di Mao Tse Tung. La percentuale degli studenti del nostro liceo che erano regolarmente iscritti a Stella Rossa non era alta, ma molti, in veste di amici o simpatizzanti, partecipavamo comunque alle riunioni della Lega rivoluzionaria della scuola, che di Stella Rossa era l’emanazione in ambito studentesco.
Allora ci sembrava normale considerare Stalin un bravo rivoluzionario, che aveva dedicato la sua vita alla classe operaia, oltre ad aver salvato il mondo dal nazismo; così come ci sembrava normale essere marxisti-leninisti e maiosti. Di Mao conoscevamo in genere solo qualche pagina del suo libretto rosso, molto di moda in quegli anni, e avevamo un’idea vaga e idealizzata di come funzionasse la società cinese. Su Stalin qualcuno aveva letto, anche sul manuale di storia, che sì, aveva commesso qualche esagerazione, ma questo non intaccava il giudizio complessivo sulla bontà dei valori di riferimento a cui aveva dedicato la sua vita. Il fatto che questi due protagonisti della storia del Novecento potessero aver provocato la morte di decine di milioni di loro concittadini in tempo di pace ci era allora ignoto. A scuola nessuno vi aveva fatto mai cenno e i libri di testo tendevano a glissare sulle dimensioni dei loro crimini nonostante che Arcipelago Gulag di Solgenitsin iniziasse a circolare in Italia proprio in quel periodo.
Dei crimini di Stalin scoprimmo la portata solo molti anni dopo, quando, dopo il crollo dell’URSS, furono aperti i suoi archivi e per molti storici, anche italiani, fu possibile accedervi. Allora, anche quei pochi che ne sapevano qualcosa non ne parlavano volentieri, almeno a scuola, dove le assemblee erano monopolizzate dai cosiddetti gruppuscoli extraparlamentari. I più famosi, almeno dalle nostre parti, erano Lotta Continua, Avanguardia operaia, Il Manifesto… ma nel nostro liceo il gruppo più forte e organizzato, quello che potremmo ritenere egemone nel movimento studentesco, era Stella Rossa, dichiaratamente stalinista.